dal Mattino di Padova. È un pestilenziale vaso di Pandora quello scoperchiato nel sottosuolo di Miteni, la società chimica di Trissino indagata per il massiccio sversamento di Pfas in acque e terreni di una superficie pari a 120 kmq e popolata da 120 mila persone.
Le sostanze perfluoroalchiliche – e i loro composti Pfoa e Pfos – hanno contaminato 23 comuni (epicentro nell’Ovest vicentino, diramazioni nella Bassa padovana e nel Veronese) ma non sono gli unici agenti inquinanti nel territorio.
I carotaggi dell’Arpav nel sito dello stabilimento di proprietà del gigante International Chemical Investors Group hanno confermato i sospetti avanzati (su base documentale) dai carabinieri del Noe ovvero la presenza di benzene tricloruro, un solvente nocivo che può arrecare seri danni all’apparato respiratorio e nervoso umano, risultando cancerogeno per gli animali.
Non è tutto: in questi giorni di pausa industriale, l’accelerazione degli scavi nell’area circostante l’azienda – oggi attraversata da un solco lungo quaranta metri – ha consentito il rinvenimento di uno stock di “big bags”, grandi sacchi di clore blu zeppi di rifiuti solidi.
Chi li ha interrati?
Miteni, per voce dell’ad Antonio Nardone, ha negato ogni responsabilità in proposito alludendo, indirettamente, agli assetti proprietari che si sono succeduti nei decenni: in origine Rimar, il centro di ricerche e produzioni fluorurate fondato nel 1964 da Giannino Marzotto; poi l’avvento della joint venture tra Mitsubishi ed Eni (Miteni, appunto), quindi la corporation giapponese in solitudine, infine il passaggio alla multinazionale che ne detiene il controllo attuale attraverso una consociata, Weylchem.
«La dimensione reale dell’inquinamento non è stata ancora definita e le prospettive sono a dir poco allarmanti», è il commento di Manuel Brusco, il consigliere regionale del M5S a capo di un gruppo di lavoro composto da amministratori ed esperti che ha già fornito materiali informativi al Noe e alla Procura di Vicenza.
«I filtri apposti dalla sanità agli acquedotti hanno fronteggiato gli effetti della malattia, senza però aggredire le cause. È evidente ormai che Miteni sorge sopra una vera e propria discarica di veleni, capace di inquinare le falde, con conseguenze in parte imprevedibili. Troviamo vergognoso lo scaricabarile di responsabilità tra Governo e Regione e ci opponiamo all’ipotesi di chiusura dell’azienda: l’esperienza dimostra che, in caso di abbandono, la stessa bonifica viene compromessa. Miteni deve restare, completare i carotaggi e garantire a proprie spese la bonifica integrale di acque e suolo: la legge 68 sugli ecoreati parla chiaro, chi inquina paga».
E l’amministrazione del Veneto?
«È stato il governatore Zaia a richiedere i carotaggi, ora confidiamo che l’indagine giudiziaria faccia finalmente piena luce», dichiara l’assessore all’ambiente Giampaolo Bottacin «sul versante della salute, dai monitoraggi agli screening, stiamo attuando il programma concordato con l’Istituto superiore di sanità. Per quanto riguarda la sicurezza idrica, invece, a Carmignano di Brenta abbiamo completato lo scavo dei nuovi pozzidestinati ad alimentare con flussi “puliti” la grande falda di Almisano che serve gli acquedotti vicentini.
«Il collegamento, com’è noto, richiede risorse superiori alle nostre disponibilità e il ministero ci ha promesso 80 milioni, ancora impigliati tra Cipe e Mef. Non chiediamo tutto e subito, basterebbero rate di una decina di milioni l’anno, così da realizzare l’opera a stralci. Finora, però, nonostante i solleciti, non abbiamo ricevuto nulla».
Filippo Tosatto – Il Mattino di Padova – 23 agosto 2017