Mentre governo e sindacati discutono se sia il caso di bloccare l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita (dovrebbe salire a 67 anni dal 2019) l’Italia sta subendo un’impennata della mortalità: + 15% nei primi tre mesi del 2017 rispetto allo stesso periodo del 2016. Un dato che rischia di portare per la seconda volta (la prima fu nel 2015) a un calo della stessa speranza di vita. Insomma, comincia a scricchiolare il primato della longevità che l’Italia detiene insieme col Giappone. L’allarme è stato lanciato dal demografo Gian Carlo Blangiardo (Milano Bicocca) sull’ Avvenire , sulla base dei dati Istat del primo trimestre.
Dati impressionanti: a fronte di 112 mila nascite (-2,6% rispetto al primo trimestre 2016, anno che aveva segnato il minimo dall’Unità d’Italia) ci sono stati 192 mila decessi (+14,9% sul 2016). Se proseguisse questo trend, nella restante parte dell’anno (senza contare che il caldo record potrebbe aver aggravato la situazione), si tornerebbe a un livello di mortalità pari a quello del 1944, dice Blangiardo, con un saldo nati-morti negativo di 346 mila unità.
La speranza di vita potrebbe diminuire. E, secondo il meccanismo di adeguamento automatico delle età pensionabili introdotto nel 2009 (governo Berlusconi) e poi inasprito nel 2011 dal governo Monti, l’accesso alla pensione è ridefinito periodicamente proprio in rapporto alla speranza di vita residua per coloro che hanno 65 anni, come rilevata dall’Istat. Le norme hanno fatto scattare il primo adeguamento (3 mesi in più) nel 2013 e il secondo (4 mesi in più) nel 2016. Il terzo scatterà dal 1° gennaio 2019 in base agli andamenti della speranza di vita del 2013-16. Un suo calo nel 2017 non inciderebbe quindi sul calcolo. Ma certo, se l’allungamento della vita non è più inarrestabile, anche le tabelle della Ragioneria dello Stato che stimano gli aumenti dell’età pensionabile fino al 2050 (per la vecchiaia ci vorrebbero quasi 70 anni) potrebbero essere riviste al ribasso.
Ma non è tanto questa eventuale correzione di qualche mese che dovrebbe accendere il dibattito. Piuttosto è l’impennata della mortalità. Essa, sottolinea infatti Blangiardo, si può spiegare solo in minima parte («3 punti su 15») con l’invecchiamento della popolazione. E il resto? C’è un problema di assistenza sanitaria e familiare nella fase finale della vita? «Sì — risponde il demografo — credo che stia emergendo una debolezza del sistema sanitario, di cui fanno le spese i soggetti più deboli, a partire dagli anziani». Attenzione, quindi, a non guardare il dito perdendo di vista la luna.
Enrico Marro – Il Corriere della Sera – 22 agosto 2017