Alla fine del 2017 in Veneto le persone con un lavoro saranno poco meno di 2 milioni e 131 mila unità, il che significa 31 mila in più rispetto al 2007, l’ultimo anno del periodo convenzionalmente indicato come quello del «pre-crisi». Al 31 dicembre prossimo, però, nella regione si conteranno 146.800 disoccupati, mentre allora ce n’erano 73.200, dunque il tasso di disoccupazione è oggi al 6,4% mentre dieci anni fa era al 3,4%, quasi la metà.
Le stime sono della Cgia di Mestre su elaborazione di dati forniti dall’Istat e dal centro studi di Prometeia e forniscono in ogni caso la fotografia di un Veneto che vive una situazione senz’altro migliore se rapportata al contesto nazionale in cui l’anno si chiuderà con una disoccupazione media dell’11,4%. In Italia, per avere un paragone, i disoccupati saranno 1 milione e 447 mila più che alla fine del 2007 ma, a differenza che nella nostra regione, il numero degli occupati sarà in flessione e la perdita è prevista in 142 mila unità.
In questo genere di considerazioni valgono comunque sempre tutti i possibili distinguo sulla qualità dei contratti di lavoro. Rispetto ad un decennio fa, infatti, secondo una recente analisi questa volta di Veneto Lavoro, la quota di assunzioni a tempo determinato è ben più pesante se confrontata con la sottoscrizione di contratti a tempo indeterminato, al netto di una risalita di nuove assunzioni stabili incentivate dai provvedimenti di legge introdotti nel 2015 con il Jobs Act e, soprattutto, con l’esonero contributivo Inps riconosciuto alle aziende per ciascun nuovo assunto nei tre anni successivi. Al punto che, secondo questa volta Unioncamere, le imprese intenzionate ad integrare nuovo personale da qui a dicembre lo farà, una volta su due, con rapporti a termine. In Veneto, poi, un posto fisso ogni tre viene conservato dal titolare meno di un anno e non sempre è chiaro se la dinamica sia legata a dimissioni del titolare dovute dall’individuazione di una posizione lavorativa migliore o ad altre cause.
Nell’insieme delle dinamiche occupazionali, poi, il Nordest soffre le croniche difficoltà di incontro fra domanda ed offerta. Esistono professionalità classificate «di difficile reperibilità» (operai metalmeccanici ed elettromeccanici, progettisti e specialisti informatici, fisici e chimici) rispetto alle quali il sistema produttivo sta da tempo praticando una vera «caccia all’uomo», non essendo più tanto straordinari i casi di rinuncia a particolari commesse per la mancanza di manodopera in grado di realizzarle. Ma i limiti alla crescita che la Cgia intravede sono anche più semplici e ordinari. «Se dal prossimo 1 gennaio terminerà la politica monetaria espansiva – sostiene il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo – cioè il Quantitative Easing introdotto dalla Bce in questi ultimi anni, molto probabilmente assisteremo a un progressivo aumento dei tassi di interesse che innalzerà il costo del nostro debito pubblico, mentre gli investimenti saranno meno convenienti». Anche per questo, rileva il segretario dell’associazione artigiana, Renato Mason «lo scenario prossimo venturo rischia di risultare ancora troppo lontano rispetto all’apice economico di 10 anni or sono».
Gianni Favero – Corriere del Veneto – 20 agosto 2017