Nonostante la bocciatura della riforma costituzionale da parte del referendum di dicembre scorso, il contenzioso tra lo Stato e le Regioni ha subìto una battuta d’arresto. L’anno scorso i ricorsi presentati alla Consulta sono stati 77, contro i 109 del 2015, con un calo di circa il 30 per cento. Per trovare un bilancio anche più magro – appena 50 ricorsi – bisogna risalire al 2007. Nel resto degli oltre quindici anni trascorsi dalla riforma del Titolo V, varata a fine 2001 e che introduceva la legislazione concorrente su determinate materie, il contenzioso tra centro e periferia ha quasi sempre sfiorato i cento ricorsi. In alcuni casi quella cifra è stata abbondantemente sorpassata, come nel 2012, quando si è raggiunto il picco delle 193 cause.
Sembrerebbe, pertanto, che la riforma costituzionale – di cui durante il 2016 si è ampiamente dibattuto dopo aver conquistato il via libera del Parlamento, per poi essere fermata dal risultato referendario – di riflesso abbia avuto qualche effetto. Ovvero, che la prevista cancellazione della legislazione concorrente – che non definendo bene l’area di intervento dello Stato e quella delle Regioni, alimenta il contenzioso – sia stata in qualche modo metabolizzata.
È ancora presto per avere certezza che il calo dei ricorsi possa essere effettivamente addebitabile a una maggiore prudenza da parte di entrambi i fronti nel travalicare i confini legislativi. C’è però da dire che i numeri dei primi sette mesi del 2017 confermano il trend registrato l’anno scorso: i ricorsi presentati alla Corte dall’inizio dell’anno sono, infatti, circa una trentina.
In ogni caso, nonostante la flessione del contenzioso, il carico di lavoro sulla Consulta rimane significativo, visto che ha dovuto decidere, negli ultimi tre lustri, una media di 112 ricorsi l’anno. Tanto che il contenzioso Stato-Regioni rappresenta ancora il dossier più corposo per i giudici costituzionali, con un totale di 1.706 ricorsi a oggi.
Se si guarda ai dati complessivi relativi a quindici anni di litigi, la Corte ha dato ragione soprattutto allo Stato: su 925 sentenze relative a cause avviate da Palazzo Chigi contro le Regioni, Roma l’ha avuta vinta in 535 casi, con una percentuale che sfiora il 58 per cento. Le norme varate dalle amministrazioni regionali sono state, dunque, bocciate quasi in due casi su tre.
Di contro, i 713 conflitti sollevati dalle Regioni si sono tradotti in 1.083 sentenze (a un ricorso possono corrispondere più verdetti), di cui 514 di illegittimità di disposizioni messe a punto dallo Stato. Una percentuale, dunque, del 47 per cento.
La Regione più litigiosa è la Toscana, che ha impugnato le norme nazionali 85 volte, da cui sono scaturite 127 decisioni, 64 delle quali di illegittimità. Anche da parte dello Stato i rapporti con la Toscana non sono stati facili: da Roma sono, infatti, partiti 62 ricorsi, che hanno dato origine a 60 sentenze, 29 delle quali di illegittimità. Ma è soprattutto nei confronti dell’Abruzzo che il Governo ha incrociato le armi legali, con 89 cause, che hanno prodotto 80 sentenze, di cui oltre il 70% di illegittimità. In questo caso, a differenza di quanto accade con la Toscana, il rapporto conflittuale non è reciproco. L’Abruzzo, infatti, è tra le Regioni con il minor numero di ricorsi contro leggi nazionali: ha presentato alla Corte solo 13 cause. Ancora meno litigioso si è dimostrato il Molise, con 5 ricorsi.
L’oggetto del contendere più frequente è quello della finanza pubblica, che durante i quindici anni ha innescato 356 ricorsi, seguito dalla tutela della salute con 206 cause. Ma anche governo del territorio, energia e professioni – con rispettivamente 184, 101 e 53 ricorsi – sono fonte di litigiosità. Tutte materie, queste, che la riforma costituzionale rimasta sulla carta avrebbe voluto ricondurre nelle mani dello Stato, una volta abolita la legislazione concorrente.
Antonello Cherchi e Marta Paris – Il Sole 24 Ore – 15 agosto 2017