Il fenomeno è in crescita, 1.163 aggressioni in Italia nel primo quadrimestre 2017 a danno di medici e infermieri da parte di pazienti violenti. Come quello che lo scorso luglio ha picchiato a sangue un dottore di Cona-Cavarzere. E ora i medici veneti chiedono un servizio di vigilanza negli ambulatori e in tutti i Pronto Soccorso. A lanciare l’appello alle istituzioni è il presidente regionale del sindacato Cimo, nonché presidente dell’Ordine dei Medici di Venezia Giovanni Leoni, rappresentando le esigenze della categoria. E un’altra dottoressa, Ornella Mancin, presidente della Fondazione Ars Medica, ha scritto una lettera al giornale online Quotidiano Sanità denunciando il problema dei medici sotto attacco e chiedendo alle istituzioni investimenti per rendere più sicura una professione diventata pericolosa.
I numeri. Un dossier di luglio del sindacato NurSind rileva come nel 2017 sono stati aggrediti 1.163 operatori sanitari a fronte dei 1.999 di tutto il 2016; gli episodi si sono verificati soprattutto nei confronti di dipendenti del Pronto Soccorso e della Guardia Medica. In Veneto il caso più recente è quello del dottore della Medicina Integrata di Cona-Cavarzere pestato a sangue da uno squilibrato a fine luglio. «Questo è un episodio clamoroso, ma purtroppo sono frequentissimi quelli di minacce e atteggiamenti violenti nei confronti dei camici bianchi», afferma Giovanni Leoni, «Viviamo in una situazione di insicurezza diffusa non solo nei Pronto Soccorso, ma anche nei Poliambulatori e nelle Medicine di Gruppo. Per non parlare delle Guardie Mediche: siamo arrivati al punto che molti medici non usano più la tradizionale borsa in pelle, simbolo della professione, per evitare di essere riconosciuti ed aggrediti».
Vigilanza. L’esigenza di correre ai ripari viene spiegata da Ornella Mancin: «Ci sentiamo sempre più vulnerabili ed esposti a una violenza spesso imprevedibile», scrive la dottoressa nel suo intervento, «È innegabile che i continui tagli degli organici, l’accorpamento di ospedali e il continuo definanziamento del SSN non fanno ben sperare. Se è vero che la prevenzione rimane la migliore strategia di difesa, è necessario offrire agli operatori sanitari la possibilità di lavorare senza affanno, con i tempi necessari, con il dovuto riposo e in strutture adeguate, potendo mettere in atto quella comunicazione tra medico e paziente che dovrebbe essere alla base del nostro operare». E per Leoni servono investimenti sulla vigilanza: «Non è che ora dobbiamo prendere oltre alla laurea anche l’attestato di un corso di autodifesa. Servono investimenti nella vigilanza a tutela di tutti i lavoratori della sanità. Negli ospedali, o perlomeno in quelli maggiori, il servizio già esiste, ma esso va applicato anche ai Poliambulatori e alle Medicine integrate dove non c’è alcun filtro con l’esterno». In sostanza si chiedono per gli ambulatori i vigilanti come ci sono negli ospedali.
La Nuova Venezia – 13 agosto 2017