Lo aveva detto e ripetuto Tito Boeri, presidente dell’Inps, che senza il contributo degli immigrati regolari, i nostri conti pubblici peggiorerebbero fortemente per via dei contributi previdenziali in meno: un buco di 37 miliardi di qui al 2040 nell’ipotesi teorica di frontiere chiuse. Ora quell’avvertimento è confermato dalla Ragioneria generale dello Stato. Non solo, ma il timore di un minor flusso annuo di immigrati (sempre regolari) non è più solo un’ipotesi: è diventata una vera e propria previsione. Negli ultimi anni il quadro demografico italiano, dice l’Istat, è cambiato: mentre prima si stimava un flusso annuo in entrata di 233 mila persone per il prossimo ventennio, ora la previsione di arrivi regolari si è ridotta a 155 mila, il 33% in meno. E a quella soglia si fermerà fino al 2070. Tutto questo si rifletterà sui conti previdenziali e sulla stessa dinamica del Pil, che invece di crescere dell’1,5% annuo, salirà dell’1,2. Quasi ovvio a questo punto che la Ragioneria dello Stato lanci un primo allarme. Nel suo rapporto aggiornato sulle “tendenze di medio periodo del sistema pensionistico”, si legge che, proprio in seguito al “deterioramento del quadro demografico”, la spesa previdenziale in rapporto al Pil “risulta significativamente superiore per l’intero periodo di previsione”, ossia fino al 2070. Nulla cambierà nei prossimi tre anni, ma poi i conti peggioreranno fino ad arrivare a un picco del 16,3% nel 2044. Dopo di che la spesa tornerà indietro, ma con un ritmo inferiore a quello stimato finora.
Resta da capire perché, mentre i clandestini aumentano senza soste, gli immigrati regolari diminuiscono. L’Istat lo spiega in parte con la grave crisi economica che ha reso meno attraente il nostro Paese. Lo stesso motivo che sta convincendo sempre più italiani ad espatriare: sono più di 100 mila l’anno. Il risultato è e sarà, dice la Ragioneria, un calo dei contributi previdenziali. Un chiaro avvertimento a chi in Parlamento vuole allentare il legame tra età pensionabile e speranza di vita. Come dire: attenti a non scardinare conti già appesantiti dalle nuove previsioni demografiche.
IL Messaggero – 26 luglio 2017