Il carico è in arrivo e tutti i minorenni ospiti del centro l’Ancora sono stati informati. Il furgoncino però è fermo alla dogana del porto di Savona. Intoppi burocratici. Si guarda l’orologio, si fanno telefonate, sono le due passate. I ragazzi di don Pablo fremono. Finalmente il furgone arriva a Varazze. Il carico finisce in cucina. Sopra ogni vaschetta c’è scritto cosa contiene: agnello, lasagne al pesto, baccalà, tacchino, ombrina, casatielli, mozzarelle, insalate di legumi e ceci, verdure saltate, fusilli allo zafferano, Cordon blue, bignè al cioccolato. I ragazzi sono un po’ delusi. Don Pablo sospira: «Per il pranzo è tardi, mangeranno il cibo a cena». È sabato, la festa è solo ritardata. Un passo indietro (di 24 ore). Porto di Civitavecchia, la nave Diadema di Costa Crociere è salpata, direzione Savona.
Tra i quasi cinque mila passeggeri c’è anche Giuliana Malaguti, responsabile approvvigionamenti Fondazione Banco Alimentare. S’è imbarcata a Civitavecchia non per fare la crociera. Da otto mesi il Banco lavora a un progetto fianco a fianco con Costa Crociere, dogana e Sanità Marittima di Savona. L’obiettivo è nobile: recuperare il cibo che non viene consumato nei ristoranti di una grande nave e offrirlo gratuitamente a chi ne ha bisogno. Sulla Diadema si consumano 18 mila pasti al giorno. I settanta chili salvati e portati ai venti ragazzi senza famiglie di Don Pablo sono l’eccedenza del cibo cucinato la sera prima a Civitavecchia.
La nave è lunga più di 300 metri. Sedici piani, ascensori ricchi di lampadine colorate che vanno su e giù. In basso, al ponte zero, ci sono le cucine dove si muovono oltre 150 cuochi. Molti sono stranieri, nati in Paesi poveri. «Il cibo per loro è sacro», spiega Stefano Fontanesi, corporate executive chef di Costa Crociere. È lui che dirige le operazioni. Le vaschette sono sigillate. Quando tutto è pronto il cibo esce dalla nave e viene preso in consegna dal Banco Alimentare. Sulla banchina il capitano, il cambusiere (un donna latino americana), diverse autorità. Sembra una cerimonia.
Ogni anno in Italia si distruggono 5,6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari. Solo nel 2016 si sono buttate 13 mila tonnellate di frutta e verdura. Il Banco riesce a salvarne circa 50 mila che poi distribuisce a ottomila strutture caritative. La svolta si è avuta con la legge Gadda (settembre 2016) contro gli sprechi alimentari e farmaceutici. Prima il cibo sarebbe stato trattato come un rifiuto. Che fine avrebbero fatto i settanta chili arrivati a Varazze? Triturati ben bene e buttati a dodici miglia dalle coste, in pasto ai pesci, negli abissi marini. Adesso nel refettorio di don Pablo c’è chi fa festa. Il cibo è sulla tavola.
Agostino Gramigna Il Corriere della Sera – 20 luglio 2017