Roberto Perotti. Il mese scorso è uscita la relazione sull’attività di revisione della spesa. È una attività importante, portata avanti in silenzio ma con grande competenza e dedizione dal commissario Yoram Gutgeld e dal suo team. Questo però non esime dal fare chiarezza sui numeri, sui quali c’è stata molta confusione (causata anche, bisogna dirlo, da un modo un po’ birichino di fornire informazioni da parte del governo).
Leggendo la relazione, molti hanno concluso che tra il 2014 e il 2017 sono stati ottenuti 30 miliardi di euro (il 2 percento del Pil) di risparmi di spesa pubblica; altri che la spesa pubblica è scesa nello stesso periodo di 30 miliardi. La prima conclusione è fuorviante, la seconda è semplicemente errata. Non voglio entrare in dispute semantiche sterili su cosa sia la “revisione della spesa”: ognuno la definisce come vuole. Ma i numeri non mentono, ed ecco cosa dicono.
Come mostra la tabella qui sopra (ottenuta a partire dai dati ufficiali della Ragioneria dello Stato), se sommiamo tutti i capitoli di spesa del bilancio che sono diminuiti per intervento governativo o parlamentare fra il 2014 e il 2017 otteniamo la cifra complessiva di 40 miliardi di euro, ancor più quindi dei 30 miliardi di cui parla la relazione sulla revisione della spesa. Senonché nello stesso periodo il governo o il Parlamento hanno anche aumentato capitoli di spesa per una cifra complessiva praticamente identica, 40 miliardi (al netto della spesa per gli 80 euro, di circa 9 miliardi). Il risultato netto è una riduzione di soli 772 milioni di euro. Secondo i calcoli dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio gli interventi di governo e Parlamento hanno addirittura aumentato la spesa complessiva tra il 2014 e il 2017, di 1,5 miliardi.
Perché questo è importante? Ho un debito di 50 euro con il mio amico Paolo, che non riesco a ripagare. L’anno scorso spendevo cento euro in ristoranti e cento in vestiti; decido di fare una revisione della spesa per ristoranti, e quest’anno riesco a ridurla a 60 euro. Posso dire che la revisione della spesa ha ottenuto risparmi del 40 per cento, un risultato eccezionale di cui vado fiero, e che comunico immediatamente a tutti gli amici, a cominciare da Paolo. Nel frattempo, però, ho aumentato la spesa per vestiti di 40 euro. La spesa totale era di 200 euro e tale è rimasta. Ovviamente ho tutto l’interesse a mettere in risalto il risultato sui ristoranti e a passare sotto silenzio quello sui vestiti. Ma il mio amico Paolo non è stupido, e capisce che dal suo punto di vista non è cambiato niente.
Il governo potrebbe comunque sostenere di aver ridotto la spesa “cattiva” e di aver aumentato quella “buona”. Può darsi: cosa è buono e cosa è cattivo è molto soggettivo (e qualunque esponente della maggioranza, se torchiato a sufficienza, riconoscerà che alcuni aumenti di spesa sono puramente elettorali o addirittura, in certi casi, strampalati). È anche difficile capire come si possa aver sostituito spesa buona a cattiva perché, a parte l’azione del gruppo della revisione (che riguarda una parte limitata del totale), non c’è stata una valutazione complessiva, che comparasse le varie spese e stabilisse delle priorità. Per esempio, nell’anno di maggiore riduzione lorda, il 2015, metà dei 16 miliardi sono venuti da tagli agli enti locali, un provvedimento che richiede cinque minuti senza che si possa sapere su che spese andrà effettivamente ad incidere alla fine.
Il governo sostiene anche che, in un periodo di recessione, è riuscito almeno ad evitare un aumento della spesa pubblica. Anche questa posizione ha una sua logica. Ma è ben diversa dall’affermare che l’azione del governo ha ridotto la spesa pubblica di 30 miliardi.
Secondo i dati della Ragioneria a 40 miliardi di risparmi se ne sono affiancati altrettanti di nuovi esborsi Le varie sforbiciate non sono frutto di una valutazione complessiva: dove incideranno quelle sugli enti locali?
Repubblica – 17 luglio 2017