Gli invincibili sono sempre i più piccoli. Perché in fondo al mare le regole della terra sono quasi tutte ribaltate. A grande profondità la legge del più forte è applicata al contrario. Gli immortali, dicono gli scienziati, sono gli organismi più piccoli. E proprio loro salveranno i mari: gli oceani così come il Mediterraneo. Il surriscaldamento climatico e l’inquinamento sono l’incubo della modernità e gli unici che non temono la minaccia sono i minuscoli abitanti degli abissi. Sembra difficile da credere, ma è tutto provato scientificamente: il risultato di uno studio realizzato da un pool di scienziati che hanno affondato la loro lente d’ingrandimento a quattromila metri di profondità, dove ci sono esseri viventi che non vedono quasi mai la luce. «Sono i più resistenti e ci hanno dimostrato che avranno una grande capacità, quella di resistere ai cambiamenti climatici e anche quella di superare gli effetti dell’inquinamento – spiega il professor Antonio Pusceddu, docente di Ecologia all’Università di Cagliari -. Se il surriscaldamento dei mari si aggraverà progressivamente, come prevedono tutti gli studi, il rischio è che molte specie si possano estinguere. Il rischio maggiore, di conseguenza, lo corrono quelle più grandi, che di solito hanno bisogno di maggiori quantità di nutrienti. Se questo succederà, allora i più piccoli abitanti del mare dimostreranno la loro importanza. Saranno loro a tenere in piedi gli equilibri».
Capacità di adattamento
I salvatori del pianeta sommerso sono animali invisibili. Esseri viventi che all’occhio umano appaiono trasparenti e che invece svolgono funzioni fondamentali a grandi profondità. L’attenzione degli oceanografi si è concentrata non per caso sulle funzioni di questi organismi. «Lo studio aveva l’obiettivo iniziale di studiare le capacità di adattamento delle varie specie ai grandi cambiamenti climatici – dice il professor Pusceddu, che è anche presidente dell’Associazione Italiana di Oceanografia e Limnologia -. Il surriscaldamento dell’acqua impedisce il passaggio delle particelle e di conseguenza gli abitanti degli abissi si ritrovano con una quantità sempre inferiore di nutrienti. Il sospetto quasi scontato era che gli esseri più piccoli e più distanti dalla superficie potessero pagare le conseguenze più gravi. E invece ci hanno stupito. Si adattano miracolosamente al nuovo habitat. Insomma, se la situazione dei nostri mari non dovesse migliorare loro saranno ugualmente in grado di cavarsela».
Vita in profondità
Forse saranno gli unici e riusciranno ugualmente a far battere il cuore dei nostri mari. «La rivelazione che i fondali ci hanno regalato è questa: in un ambiente molto meno ricco di nutrienti l’efficienza nella gestione è esattamente doppia – precisa il professore -. Il principio vale sia nel nostro Mediterraneo così come negli oceani, anche se le temperature in profondità sono radicalmente diverse. La differenza è di circa 10 gradi: a quattromila metri il Mare Nostrum raggiunge, e talvolta supera, i 13 gradi, mentre negli oceani si raggiungono a malapena i 4. Il ruolo degli esseri viventi non cambia: i più resistenti agli stravolgimenti sono sempre loro».
L’identikit
Lo studio degli oceanografi italiani (coordinato dall’Università politecnica delle Marche e supportato dai team delle Università di Cagliari, Bari e Genova) traccia l’identikit preciso degli imbattibili difensori dei mari. Sono divisi in cinque categorie e molti di loro hanno nomi quasi impronunciabili. Di molti è persino difficile immaginare l’aspetto. La classifica tiene conto delle dimensioni, ma questo non è l’unico parametro che si può associare alla capacità di resistenza. I più resistenti di tutti sono virus e batteri: con loro non c’è surriscaldamento globale che tenga. Gli altri fanno parte della categoria della «meiofauna», che include organismi molto più piccoli di un millimetro. L’altra classe è quella della «macrofauna», di cui fanno parte anche piccolissimi crostacei e gli echinodermi, tra cui stelle marine e piccoli ricci. Quelli che raggiungono più da vicino la superficie sono gli organismi che comprendono la famiglia della «megafauna» e qui insieme ai crostacei compaiono anche i pesci. Ma solo quelli più piccoli. «Gli altri – ipotizza il professor Antonio Pusceddu – sono certamente quelli che rischiano di pagare il prezzo più alto dell’inquinamento e del surriscaldamento dell’acqua. I grandi pesci, ma anche i mammiferi acquatici, perché hanno necessità di una quantità maggiore di nutrienti e di risorse. Quelle che nel Mediterraneo e negli oceani stanno iniziando a mancare per effetto dei grandi stravolgimenti».
La Stampa – 14 luglio 2017