Dopo quello sull’obbligo vaccinale, la Regione minaccia di impugnare pure il decreto firmato dal ministro dell’Università e della Ricerca, Valeria Fedeli, per stabilire i numeri programmati delle professioni sanitarie. Ovvero i posti che ogni Ateneo d’Italia dovrà mettere a disposizione delle matricole di Medicina e degli altri 22 corsi di laurea dell’area interessata per l’anno accademico 2017/2018. La protesta nasce dalla «stangata» inferta al Veneto, che oltre a non veder riconosciuta la richiesta tarata dagli Atenei di Padova e Verona insieme a Palazzo Balbi sul reale fabbisogno di tali figure professionali negli ospedali e negli ambulatori pubblici (mancano un migliaio di medici e 2mila infermieri), si è visto pure diminuire la dotazione rispetto al 2016/2017. L’Università scaligera invece di ottenere ulteriori posti ne perde 55, quella della città del Santo 111.
Qualche esempio: Padova avrà 38 nuovi tecnici radiologici invece di 60; 21 tecnici della prevenzione al posto di 30; 30 igienisti dentali e non 35; 13 dietisti a fronte di una richiesta di 20; 60 veterinari piuttosto di 65; 684 infermieri quando ne servirebbero almeno 695. Inalterati i 25 accessi a Odontoiatria e i 342 a Medicina e Chirurgia. Corso, quest’ultimo, che a Verona scende da 180 a 177 posti, mentre quelli per infermieri si riducono da 640 a 629 e gli accessi in Ostetricia passano da 24 a 19. L’Ateneo scaligero perde 2 posti in Fisioterapia (da 62 a 60), Logopedia (da 25 a 23) e Tecnica della riabilitazione psichiatrica (da 20 a 18), ma la vera mazzata colpisce i tecnici di laboratorio biomedico, che diminuiscono da 30 a 16, i tecnici radiologi (da 22 a 13)e i tecnici della prevenzione (da 20 a 14). «Non ci aspettavamo proprio una simile decisione da parte del Miur — ammette il professor Mario Plebani, presidente della Scuola di Medicina dell’Università di Padova —. In piena sintonia con l’Ateneo di Verona e la Regione avevamo elaborato un prospetto con il reale fabbisogno per ogni professione sanitaria, poi presentato in Conferenza Stato-Regioni. Essendo frutto di una mediazione, avevamo già ritoccato al ribasso le richieste iniziali, quindi l’ulteriore decurtazione è stata una doccia fredda. E’ ingiustificata, non si capiscono i criteri di una ripartizione basata su una programmazione sbagliata, che tra il 2021 e il 2023 prevede un intenso turn over di medici: peccato che per formare un camice bianco ci vogliano dieci anni».
Altre due le contestazioni mosse degli Atenei: i numeri programmati non possono essere stabiliti solo in base alle prospettive occupazionali nel settore pubblico, visto che gli operatori sanitari lavorano pure nelle strutture convenzionate e private; e poi la scure del Miur mette a rischio diversi presidi sanitari.
«A preoccuparci molto è il calo dei tecnici e degli infermieri, già gravati da una carenza cronica — avverte il professor Alfredo Guglielmi, presidente della Scuola di Medicina di Verona —. Speriamo che il decreto venga rivisto: in Italia ci sono venti Sistema sanitari, però quando conviene devono diventare uno unico. Sarebbe molto più funzionale che ogni Regione potesse decidere per sè, in base alle proprie necessità». E’ esattamente il pensiero del governatore Luca Zaia, che aggiunge: «Il nostro assessore alla Sanità, Luca Coletto, ha posto con forza la questione in Commissione Salute, chiedendo la modifica del decreto Fedeli e formalizzando, in caso contrario, l’intenzione del Veneto di impugnarlo. Ha trovato ampia condivisione da parte di quasi tutte le altre Regioni». Anche perchè non passa inosservato l’aumento dei posti concessi al Centro-Sud. «Sembra che le professioni sanitarie si possano imparare solo nelle Università romane — nota Zaia — su 24mila posti, 5mila vengono tagliati a molte Regioni e spostati con la bacchetta magica sugli Atenei del Lazio».
Michela Nicolussi Moro – IL Corriere del Veneto – 7 luglio 2017