Via libera al cumulo previsto per i lavoratori soggetti al sistema di calcolo contributivo puro o che optino per la liquidazione di un trattamento pensionistico con tali regole. Con la circolare 103/2017, l’Inps ha sciolto le riserve rimaste sull’applicazione dell’articolo 1 del Dlgs 184/1997.
Questo cumulo non è da confondere con quello introdotto dalla legge 228/2012, ampliato nell’ultima legge di bilancio alle Casse dei libero professionisti, che si applica anche ai lavoratori con sistema di calcolo pensionistico ex retributivo o misto. Il cumulo secondo il Dlgs 184 si applica ai lavoratori (optanti) contributivi, iscritti ad almeno due gestioni dell’assicurazione generale obbligatoria, delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi nonché iscritti alla gestione separata dell’Inps.
Si estende anche ai contributi accreditati presso le Casse professionali a condizione che, nei rispettivi ordinamenti, sia stato adottato il sistema contributivo. Tuttavia tali ultimi periodi possono concorrere ai fini dell’anzianità contributiva, ma non saranno valutati ai fini economici. A questo riguardo, quindi, il cumulo del Dlgs 184 si differenzia da quello della legge 228/2012 in quanto quest’ultimo valorizza i periodi presso le Casse anche ai fini dell’importo dell’assegno (anche se questa opzione introdotta dalla legge di bilancio 2017 per ora non è stata attuata).
L’Inps precisa che la titolarità della pensione a carico di una delle gestioni non preclude la possibilità di ricorrere al cumulo che potrà essere attivato limitatamente alle altre gestioni. In regime di cumulo possono essere conseguiti i trattamenti pensionistici di vecchiaia, di inabilità e indiretta ai superstiti. Non si può conseguire l’assegno ordinario di invalidità poiché non espressamente previsto dalla norma.
La pensione di vecchiaia si consegue con almeno 66 anni e sette mesi di età, venti anni di contributi (conteggiando una sola volta i periodi eventualmente sovrapposti nelle diverse gestioni) e – per i soli contributivi – un primo importo di pensione non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale. In alternativa devono essere posseduti 70 anni di età e almeno cinque anni di contribuzione effettiva (escludendo quindi quella figurativamente accreditata a qualsiasi titolo). Tali ultimi requisiti si applicano solo ai lavoratori contributivi puri, esclusi gli optanti.
I requisiti anagrafici devono essere adeguati agli incrementi legati alla speranza di vita. È richiesta altresì la cessazione dell’eventuale rapporto di lavoro dipendente. Nel caso in cui le gestioni interessate dal cumulo prevedano requisiti anagrafici diversificati, la pensione si conseguirà al raggiungimento di quello più elevato.
La pensione anticipata si conseguirà con 63 anni e sette mesi, venti anni di contribuzione effettiva a condizione che il primo importo di pensione non risulti inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale. Anche tali requisiti si applicano solo ai soggetti contributivi puri. In alternativa sono richiesti 41 anni e dieci mesi di contributi per le lavoratrici (+1 anno per gli uomini).
La pensione di inabilità si raggiunge con i requisiti sanitari e amministrativi richiesti nell’assicurazione generale obbligatoria dell’Inps, mentre un dipendente pubblico potrà conseguire l’inabilità a proficuo lavoro oppure l’inabilità non dipendente da causa di servizio.
La pensione ai superstiti spetta a condizione che il lavoratore deceduto avesse almeno cinque anni di contribuzione, di cui tre nell’ultimo quinquennio precedente la data del decesso o, in alternativa, quindici anni.
I periodi svolti all’estero – anche nella ipotesi in cui abbiano già dato luogo a pensione – sono utilizzabili ai fini del cumulo a condizione che si applichino i regolamenti comunitari oppure le convenzioni internazionali. Le pensioni in cumulo, composte dai diversi pro rata delle gestioni interessate, costituiscono un unico trattamento e come tali saranno adeguate all’inflazione.
Fabio Venanzi – Il Sole 24 Ore sanità – 27 giugno 2017