«Le legge, che doveva essere annuale, è stata varata dal governo Renzi 851 giorni fa. Li sto contando come i carcerati». Di prima mattina Carlo Calenda aveva speso anche una metafora penitenziaria per scongiurare ulteriori ritardi per il disegno di legge sulla concorrenza. La manovra non è riuscita e, a questo punto, il ministro dello Sviluppo economico si dovrà rassegnare a proseguire il penoso conteggio dei giorni che passano. Le Commissioni Finanze e Attività Produttive della Camera hanno dato il via libera al provvedimento che arriverà nell’aula di Montecitorio lunedì prossimo, ma hanno anche approvato le quattro modifiche proposte dal Pd su assicurazioni, energia, telemarketing e società di odontoiatri, condannando il ddl ad un ulteriore passaggio al Senato per la quarta lettura in tre anni. Esattamente quello che temeva Calenda quando chiedeva al partito di maggioranza il ritiro degli emendamenti.
«Una pessima immagine e una scelta incomprensibile: l’ennesimo segnale negativo a cittadini, imprese e istituzioni internazionali. Gli emendamenti sono di mera chiarificazione e non mettono in discussione la sostanza del testo», ha detto Calenda dopo il voto della Commissione, svelando implicitamente che dietro a quelle correzioni chieste dal Pd c’è più che altro un’offensiva politica. Il deflagrare di uno scontro che covava sotto la cenere da quando, dopo il passaggio di consegne a palazzo Chigi tra Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, la figura di Calenda (un ministro tecnico, nell’accezione generale) ha iniziato progressivamente ad assumere, al di là delle smentite ufficiali, i connotati di un possibile player politico. Con ipotesi di discesa in campo che attraversano tutto l’arco costituzionale: dal centrodestra (Berlusconi due giorni fa: «Conosco certi discorsi che ha fatto Calenda, ho messo in programma di incontrarlo») al centrosinistra (sempre mercoledì l’incontro con Romano Prodi che ha parlato di colloquio «ottimo e abbondante»), fino ad azzardate suggestioni “macroniane”.
Pivot della crociata anti-Calenda sarebbe proprio l’ex premier Renzi infastidito, si dice, dalle presunte ambizioni politiche del suo ex ministro: «Sarebbe deprimente e non ci credo – prova a chiosare Calenda – . Tra l’altro sarebbe anche non particolarmente intelligente perché il provvedimento sulla concorrenza lo ha fatto Renzi. Con lui, comunque, ho un buon rapporto. Certo, ogni tanto abbiamo visioni diverse ma ce lo diciamo in modo franco ». Franchezza di cui non c’è traccia nel periodo di coesistenza tra i due al governo ma che, ad esempio, è emersa a tutto tondo qualche giorno fa quando davanti alla platea della Confesercenti Calenda ha smontato alcuni capisaldi della politica economica renziana, dai tagli all’Irpef alla strategia dei bonus, all’ottimismo sul Pil. «Faccio il mio lavoro e basta, cerco di farlo dignitosamente e non ambisco a nulla», ha detto ancora ieri il ministro, salvo poi ribadire, come aveva già fatto nel pieno del pressing renziano per il voto anticipato, che «continuare a parlare di riforma elettorale e data delle elezioni aumenta il distacco degli italiani dalla politica». E sarebbe stata proprio la presa di posizione contro il voto anticipato ad inasprire il clima intorno al ministro.
La replica, gelida, al malumore di Calenda per l’ennesimo incidente di percorso del ddl concorrenza, è arrivata dal presidente del Pd, Matteo Orfini che, ribadendo l’opportunità degli emendamenti, ha sottolineato come si sia migliorato «un testo che in alcuni passaggi creava problemi invece di risolverli. Lo abbiamo fatto nell’interesse dei cittadini. Fingere che quelle modifiche non fossero necessarie e approvare una norma imperfetta sarebbe stato, questo sì, un segnale negativo al Paese». Da rilevare che, prima del voto, Calenda aveva chiamato in causa senza troppi fronzoli il Pd: «Spero che non si trasformi dal partito che doveva rottamare le rendite e le caste, nel partito che invece rottama la concorrenza».
A questo punto bisognerà vedere cosa ne sarà dell’iter del ddl: Orfini parla di approvazione «senza ulteriori ritardi» e, dunque, resta sul tavolo l’eventualità di un eventuale voto di fiducia. Questione, che alla luce di quanto accaduto nelle ultime ore, dovranno risolvere tra di loro il premier Gentiloni e il Pd.
Quanto ai contenuti degli emendamenti, una delle modifiche riguarda le bollette elettriche: non si potrà mettere all’asta la fornitura dei consumatori rimasti nel mercato tutelato che, peraltro, chiuderà i battenti il primo luglio 2019. Reintrodotta poi nelle assicurazioni (al netto della Rc auto) la possibilità per le compagnie di fissare la clausola di rinnovo tacito e unilaterale del contratto. Un’altra modifica sopprime la norma di ulteriore tutela dei consumatori nei confronti delle telefonate di telemarketing (norma che, almeno secondo il ministero, non era comunque sostitutiva di altre garanzie). Infine, un emendamento interviene sull’obbligo per i direttori sanitari delle società odontoiatriche del titolo, appunto, di odontoiatra.
Repubblica – 23 giugno 2017