Li possiamo trovare nel suolo, nell’aria, nell’acqua, nella plastica, ma anche negli oggetti di uso comune e negli alimenti. Composti che possono provocare gravi danni all’organismo, spesso non immediatamente percepibili perché in dosi minime non producono effetti di tossicità acuta
Sono gli Interferenti Endocrini (Endocrine Disrupting Chemicals), contaminanti ambientali nei quali rientra una vasta categoria di sostanze o miscele di sostanze, che alterano la funzione del sistema endocrino, causando effetti avversi sulla salute di un organismo, oppure della sua progenie: sono infatti in grado di legarsi come “agonisti” o “antagonisti” ai recettori di vari ormoni, ad esempio a quelli degli ormoni steroidei o degli ormoni tiroidei, o eventualmente interferire in vario modo e tramite differenti meccanismi con questi recettori, addirittura arrivando ad eliminarli del tutto.
“Interferenze” che possono provocare difetti alla nascita e altri disturbi dello sviluppo. In particolare, difficoltà di apprendimento, grave disturbo da deficit di attenzione, problemi cognitivi e di sviluppo del cervello, deformazioni del corpo, problemi di sviluppo sessuale, femminilizzazione del sesso maschile e androgenizzazione del sesso femminile, sterilità e, nel corso della vita, obesità, diabete, vari tipi di tumore, patologie scheletriche, menopausa anticipata, malattie autoimmuni. Insomma, sostanze che potrebbero essere la risposta, o una delle risposte possibili, alle tante ‘nuove’ patologie che affliggono la popolazione.
“Organizzare un panel sulle interferenze endocrine è importante – ha spiegato Andrea Lenzi, Presidente del CnBBSV – innanzitutto perché c’è poca conoscenza dell’endocrinologia in generale e soprattutto perché bisogna informare sugli effetti di queste ‘interferenze’ dell’ambiente sugli ormoni degli esseri umani. Attenzione perché i messaggi che arrivano dall’ambiente sono messaggi ormonali sbagliati che possono provocare gravi danni quali la femminilizzazione fetale e forme di obesità gravi”.
I numeri. Per dare qualche numero, l’Unione Europea ha selezionato 564 sostanze sospettate di essere interferenti endocrini. Di queste 147 possono essere persistenti nell’ambiente o prodotte in grandi volumi; solo di 66 sostanze è stato provato che possano agire come interferenti endocrini mentre di 52 c’è solo qualche prova che siano potenziali interferenti endocrini.
Sostanze non estranee ad alcune zone del territorio italiano: dal disastro di Seveso nel 1976 quando a causa di un incidente stabilimento chimico della Icmesasi diffusero nelle aree limitrofe elevatissime quantità di diossina, uno dei più dannosi Edc, fino alla più recente emergenza della Terra dei Fuochi, contaminata sempre da Edc a causa dello sversamento illegale di rifiuti. E non dimentichiamo che la diossina continua a tenere banco nella vicenda dell’Ilva, nella zona di Taranto, ancora al centro di un maxiprocesso per disastro ambientale.
Ma quali sono i principali interferenti endocrini e a quali ambienti sono più spesso associati?
Quelli più conosciuti sono gli idrocarburi policiclici aromatici, che possiamo trovare nei gas di scarico, nel fumo di sigaretta ma anche carne alla griglia o negli alimenti affumicati; Il benzene rintracciabile sempre nel gas di scarico e nelle sigarette e nell’incendio di boschi e residui agricoli; la famigerata, diossina creata dalla combustione di rifiuti, soprattutto plastici: è uno dei Edc più temibili in quanto può contaminare anche prodotti alimentari, ad esempio i più esposti al rischio sono il burro d i pesci grassi, come quello azzurro e il salmone, il latte e i suoi derivati.
Ma anche fibre tessili e pellame, schiume antincendio, cosmetici, casalinghi possono nascondere l’iperfluorato e il bisfenolo A è rintracciabile nei giocattoli, nelle bottiglie, attrezzature sportive, ed anche nei dispositivi medici ed odontoiatrici, lenti per gli occhiali, supporti ottici, caschi di protezione e otturazioni dentarie rivestimento di lattine per alimenti e bevande. Sono state trovate tracce di octilfenolo e nonifenolo in 6 tipi di pesce pescato nel Mar Tirreno (pannocchia, polpo, acciuga, sgombro, sarago, mormora, triglia e tonno). I policlorobifenili, prodotti da processi industriali, si trovano principalmente in latte, burro, uova pesce. Gli alchilfenoli negli shampoo, cosmetici, spermicidi, detergenti, prodotti ortofrutticoli o confezionati in plastiche e pellicole. Il dietilesilftalato nei cartoni per asporto delle pizze, prodotti plastici e infine l’acido perfluoroctanico nel teflon e nelle pentole e padelle anti-aderenti.
Infine, ci sono un mix variabile di ftalati, formaldeide, metalli pesanti, solventi, coloranti facilmente rintracciabili anche nei tessuti di alcuni indumenti. Sostanze usate per rendere più belli esteticamente (scritte, decorazioni ecc.), comodi o impermeabili i nostri abiti. Secondo uno studio realizzato dalla Ue, il 7-8% delle patologie dermatologiche è dovuto proprio a ciò che indossiamo.
Non solo “antagonisti”, ci sono anche “agonisti” che possono diventare un prezioso alleato per l’uomo. È il caso della genisteina, utile per contrastare gli effetti della menopausa. Si trova nei semi di soia e in altri legumi, ad esempio nei ceci, nelle lenticchie e nelle fave, nel trifoglio rosso, nei cereali integrali e nel finocchio.
“L’effetto degli interferenti endocrini – ha concluso Lenzi –si notano ormai bene sulla fertilità e sulla sessualità dell’uomo, entrambe effetti che si producono nello spazio di una generazione. Il dato principale è che c’è riduzione della fertilità maschile perché essendo gli interferenti xenoestrogeni producono la femminilizzazione del maschio, con una riduzione dell’apparato sessuale, mentre per le donne sono in aumento i casi di disturbi mestruali”.
19 giugno 2017 – Quotidiano sanità