Valentina Conte. Il presidente dell’Inps Tito Boeri vuole ricalcolare (e tagliare) le pensioni dei sindacalisti in distacco nella pubblica amministrazione. Ma non ci riesce. Una prima circolare di dicembre è stata fermata dal ministero del Lavoro. La seconda di aprile giace nei cassetti dell’ufficio legislativo del ministro Giuliano Poletti. «L’esame riprenderà a breve », chiariscono al ministero. «Lo stop si spiega con il particolare affollamento di provvedimenti di cui ci siamo occupati negli ultimi mesi: dalla delega sulla povertà al Terzo settore, passando per l’Ape». Per i sindacati invece la motivazione dello stallo è un’altra: la misura di Boeri è illegittima, perché punta a cambiare una legge dello Stato con un semplice atto amministrativo.
Ci risiamo, dunque. L’ultimo capitolo della guerra sindacati-Boeri, cominciata quando il professore bocconiano ha messo nero su bianco la sua riforma dell’Inps, stavolta ruota attorno a un meccanismo che consente ai dipendenti pubblici in distacco sindacale di far accreditare dagli stessi sindacati contributi previdenziali aggiuntivi (ma facoltativi) nella cosiddetta “quota A”. Quella quota cioè di pensione maturata fino al 1992 e calcolata col metodo retributivo in base all’ultimo stipendio percepito.
Secondo Boeri, la norma di legge – l’articolo 3 del decreto legislativo 564 del 1996 – si presta a furbizie. Favorendo aumenti ingiustificati delle buste paga in zona Cesarini, cioè poco prima di andare in pensione. Che poi si traducono in assegni più generosi del dovuto. Al contrario, la sua proposta – far confluire quei contributi aggiuntivi nella “quota B”, valida dal 1993 in poi – consentirebbe di ricalcolare la pensione sulla media delle retribuzioni degli ultimi dieci anni, spalmando così le impennate contributive dell’ultimo minuto e magari scoraggiandole.
Boeri si fa forte di una doppia sentenza della Corte dei Conti (Sezione Friuli Venezia Giulia del 2013 e Terza sezione centrale di appello del 2016). Nella lettura che ne dà il presidente Inps, i giudici contabili avvallerebbero il suo ragionamento: questi contributi aggiuntivi, previsti dalla legge, devono essere calcolati in quota B perché non sono “fissi e continuativi” e dunque rappresentano salario accessorio; non fanno cioè parte della retribuzione di base.
Interpretazione contestata dai sindacati, per i quali a non essere “fissi e continuativi” erano gli incarichi del ricorrente – un ex insegnante distaccato presso la Federazione Gilda – che pretendeva a torto di vedersi riconosciuti i contributi aggiuntivi incassati per diversi ruoli ricoperti, quando la legge gliene riconosce uno (quello retribuito di più). Non solo. I sindacati sbandierano anche il parere negativo del ministero del Lavoro sulla prima circolare di Boeri, firmato il 12 gennaio scorso dal capo dell’ufficio legislativo Stefano Visonà. In quindici righe il dicastero guidato da Poletti spiega che le due sentenze della Corte dei Conti non negano affatto «in termini generali» la caratteristica di «fissità e continuità» alla contribuzione aggiuntiva. La escludono solo nel caso specifico perché l’ex insegnante friulano di fatto pretendeva troppo.
Nel frattempo Boeri ha riscritto la circolare. La seconda versione è molto più articolata, ma la conclusione è la stessa: necessità di ricalcolare le pensioni dei sindacalisti in distacco. Secondo le prime stime Inps, la misura – qualora avesse l’avallo del ministero – impatterebbe su 30 pensionati “di nuova liquidazione” e circa 1.400 pensionandi, oggi ancora sindacalisti attivi. La misura del taglio non è stimabile in assoluto: va valutata ad personam. Una prima simulazione Inps su 19 casi concreti (vedi grafico) valuta una riduzione media del 27%. In un caso si arriva però anche al sacrificio di due terzi dell’assegno, probabilmente frutto di significativi rialzi di retribuzione a ridosso della quiescenza.
Sulla correttezza di questi contributi previdenziali aggiuntivi – voluti dal legislatore per sanare la mancata progressione di carriera di chi si mette in aspettativa sindacale, rinunciando anche al salario accessorio – il presidente Inps sembra non obiettare. Ne vuole però correggere l’impatto, a suo dire iniquo. Dal canto loro i sindacati non negano possibili eccessi. Ma chiedono che ogni modifica avvenga per legge. E nel confronto tra le parti. Un confronto che pare sia mancato. Proprio come sulla riorganizzazione dell’Inps: meno dirigenti e più distribuiti sul territorio. Risultato: il Civ – il Consiglio di indirizzo e vigilanza dove siedono le parti sociali – ha fatto ricorso al Tar per bloccarla, ritenendo di essere fortemente ridimensionato e paventando il rischio dell’uomo solo al comando. Ora un nuovo capitolo.
Repubblica – 14 giugno 2017