Toccherà ai contratti «valutare l’ipotesi» di destinare una parte delle risorse ai dipendenti pubblici che, per effetto degli aumenti in arrivo, rischiano di uscire dal raggio del bonus da 80 euro. A puntellare questo effetto sarà «un elemento retributivo distinto dello stipendio», una sorta di “indennizzo” da perdita del bonus, che però deve trovare spazio nei finanziamenti complessivi per il rinnovo del contratto ai tre milioni di dipendenti pubblici italiani.
Suona così il punto chiave della bozza di direttiva che oggi pomeriggio sarà sul tavolo del vertice fra Governo, Aran ed enti territoriali per l’atto di indirizzo chiamato a far ripartire la contrattazione del pubblico impiego dopo otto anni di congelamento. La bozza, 17 pagine in tutto, è in larga parte occupata dagli indirizzi validi per tutti, che i comitati di settore di sanità, enti locali e «conoscenza» (scuola e non docenti dell’università) dovranno tradurre nei propri atti: l’ultimo capitolo è invece dedicato al “compartone” delle «Funzioni centrali», dove confluiscono in particolare i vecchi comparti di ministeri, enti pubblici non economici e agenzie fiscali: per queste ultime, aggiunge la direttiva, il rinnovo contrattuale dovrà prevedere il mantenimento della retribuzione prevista per i funzionari di terza fascia a chi era stato “declassato” dopo il lungo contenzioso amministrativo sui concorsi.
Il testo della direttiva, che dovrà andare alla Ragioneria per la bollinatura, affronta anche la ricca parte di adeguamenti normativi resi indispensabili dai lunghi anni di blocco della contrattazione e dall’approvazione della riforma pubblicata ieri in «Gazzetta Ufficiale». Il cuore della sfida, però, è quello di gestire le incognite legate al «reperimento delle ulteriori risorse finanziarie », a cui «gli impegni sottoscritti rimangono subordinati». In soldoni, si tratta di almeno 1,2 miliardi da individuare nella legge di bilancio per la Pa centrale, e di altrettanti che sanità, regioni ed enti locali dovranno trovare nei loro bilanci.
Sono due le conseguenze principali di questa incognita. In primo luogo, la direttiva chiede ai quattro contratti nazionali di destinare all’aumento delle voci fisse tutti i soldi già stanziati (300 milioni sul 2016, 900 sul 2017 e 1,2 miliardi dal 2018), mentre ai «trattamenti accessori legati a performance e condizioni di lavoro» dovranno pensare le «risorse ulteriori». Con questa coperta, poi, bisognerà sterilizzare l’effetto 80 euro (una libera «valutazione» delle parti che corrisponde però a un indirizzo preciso del governo). E qui arrivano grossi problemi pratici.
Compensare la perdita del «bonus Renzi» ai circa 200mila dipendenti pubblici che hanno redditi fra 24 e 26mila euro, e quindi sono nel decalage che riduce il bonus all’aumentare delle buste paga, costa dei soldi, e bisognerà capire se gli «85 euro medi» di aumento promessi dall’intesa del 30 novembre saranno al netto o al lordo di questa mossa. Ma in ogni caso non sarà facile nemmeno individuare ex ante, «sulla base dei trattamenti stipendiali» come spiega la direttiva, i dipendenti da “compensare”. Il bonus, infatti, si basa sul reddito complessivo del contribuente, e non solo sulla busta paga, per cui la dinamica di entrate aggiuntive (per esempio un appartamento dato in affitto) cambia la platea del bonus dal quale ogni anno entrano ed escono circa 1,5 milioni di contribuenti.
Si giocherà sul terreno caldo dei soldi, ovviamente, la parte cruciale di una trattativa che però dovrà rivedere anche capitoli importanti della parte normativa: una disciplina su misura, prevede la direttiva, andrà scritta sui permessi orari per le visite mediche, da distinguere rispetto alle assenze giornaliere per malattia, bisognerà semplificare il ginepraio delle regole sul salario accessorio e avviare il welfare aziendale sotto forma di servizi aggiuntivi (ad esempio gli asili nido) rivolti alle famiglie dei dipendenti pubblici. Il rinnovo dei contratti dovrà poi adeguare la disciplina del part-time alle previsioni del Jobs act, per quanto compatibili, con la possibilità di chiedere, misurare (e ovviamente pagare) lo straordinario anche per i lavoratori a tempo parziale. Una spinta in più andrà poi data alla previdenza complementare, visto che il fondo Espero (scuola e Afam) ha 100mila iscritti su un bacino potenziale di 950mila, e il Fondo Perseo Sirio (per il resto della Pa) non va oltre le 33mila adesioni su 1,4 milioni di dipendenti interessati.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 8 giugno 2017