I quattordicenni che vivono nei comuni del Veronese che si trovano nella zona rossa hanno concentrazioni di Pfas nel sangue m percentuali che sono molto al di sopra di quelle considerate accettabili, anche se lievemente più basse di quelle riscontrate nei cittadini del Basso Vicentino. A confermare quella che era una notizia attesa, ma anche temuta, sono i primi risultati riguardanti il nostro territorio dello screening avviato quest’anno dalla Regione per valutare gli effetti della contaminazione da sostanze perfluoro-alchiliche dell’area a cavallo fra le province di Verona, Vicenza e Padova. Un controllo a tappeto che, per quanto ci riguarda, comprende 47.533 persone, nate fra il 1951 e il 2002 e residenti ad Albaredo, Arcole, Cologna, Pressana, Roveredo, Veronella, Zimella, Bevilacqua, Bonavigo. Boschi Sant’Anna, Legnago. Minerbe e Terrazzo. Nel vicentino gli esami hanno finora riguardato più di 2.500 persone. Dai risultati è emerso che tutte loro hanno assunto nel proprio organismo sostanze perfluoro-alchiliche e che, in particolare, il composto della famiglia Pfas di cui è stata riscontrata la maggiore presenza, il Pfoa, è presente nel sangue dei cittadini con una misura media di 70-80 nanogrammi per millilitro. I parametri di accettabilità per questa sostanza sono stati fissati cinque anni fa dall’Istituto Superiore di Sanità, in seguito a uno studio nazionale compiuto prima che, nel giugno del 2013, divenisse nota la presenza dell’inquinamento in Veneto. La presenza nel sangue di Pfoa, che è uno dei composti considerati più pericolosi, secondo tale studio dovrebbe essere fra 1,5 e 8 nanogrammi.
«Finora nel Veronese abbiamo i risultati dei primi 118 esaminati e la presenza media di Pfoa è di 40-50 nanogrammi per millilitro», afferma il dottor Rinaldo Zolin, che è responsabile del centro screening dell’ospedale vicentino di Montecchio Maggiore, che coordina le operazioni. Il medico fornisce anche altri dati. «Dalle analisi compiute nel Vicentino risulta che il 15-20 per cento degli esaminati ha valori di Pfoa che superano i 100 nanogrammi, mentre in quelle veronesi tale dato è al momento del 2 per cento; fra i 118 analizzati a Legnago il 3-4 per cento ha una presenza di Pfas che rientra nell’intervallo di accettabilità», spiega. Sta di fatto che, secondo questo primo campione, la stragrande maggioranza dei quattordicenni della Bassa ha nel sangue una concentrazione di Pfoa da 5 a 30 volte più alta dei limiti indicati dall’Istituto superiore di sanità. «Il numero di soggetti controllati è troppo piccolo per poter dire che questi valori sono da prendere a riferimento per tutti i residenti nell’area esposta all’inquinamento, però danno il segno di una tendenza», avverte il dottor Zolin. «Quanto allo stato di salute delle persone che controllate, i dati vengono elaborati direttamente dalla Regione», precisa. E anticipa: «Ci attendiamo che nell’area inquinata dal 4 all’8 per cento degli esaminati passi al secondo livello dello screening, quello della presa in carico, perché presenta patologie teoricamente correlabili all’esposizione ai Pfas». Ovvero: problemi a tiroide, fegato, reni e testicoli o legati a diabete e colesterolo. Al primo mese di analisi si è presentato circa il 70 per cento degli invitati (erano 176 m tutto) ed ora stanno arrivando 330 lettere nelle case di altrettanti ragazzi nati nel 2002 e 2001, che saranno controllati entro fine giugno. C’è infine l’ipotesi di allestire un secondo laboratorio dedicato allo screening, che si andrebbe ad affiancare a quello aperto nell’ospedale di Legnago, probabilmente a San Bonifacio o a Cologna Veneta, per sveltire le operazioni e consentire una maggiore affluenza.
L’Arena – 6 giugno 2017