Il medico della Asl che nel 1975 aveva somministrato alla loro bambina di sei mesi il vaccino tetravalente non li aveva informati che esso, come effetto collaterale già conosciuto in medicina, avrebbe potuto causare l’encefalopatia con strascichi pesanti sulla qualità della vita. Dopo una lunga battaglia giudiziaria, la bambina di allora, che oggi ha 41 anni, ha ottenuto un indennizzo dal ministero della Salute che aveva contestato il collegamento tra la vaccinazione e la patologia riscontrata nella bambina.
Nella discussione sempre in vigore sui vaccini, si aggiunge la sentenza della sezione Lavoro della Corte d’appello di Milano che il 10 novembre scorso ha confermato quella emessa nel 2013 dal Tribunale di Pavia. Nel 1975 i genitori sottoposero la bambina alla vaccinazione non obbligatoria contro poliomielite, tetano, difterite e pertosse in un ambulatorio della Asl. In quel momento, si legge nella sentenza che riporta le considerazione del perito nominato dal Tribunale, la bambina «presentava uno sviluppo assolutamente normale e non aveva sofferto alcun disturbo». Quando qualche giorno dopo le fu somministrata la seconda dose del vaccino cominciarono a manifestarsi i primi problemi: convulsione e anomalie nell’elettroencefalogramma.
Solo nel 2009, quando apparve chiara la relazione tra vaccino e malattia, il padre di quella che era ormai una donna chiese alla Asl che alla figlia fosse assegnato un indennizzo. Quando la commissione medica ospedaliera disse di no, con argomenti che i giudici d’appello definiscono «contraddittori», anche se non contestando la possibilità (conosciuta) che quel vaccino potesse portare all’encefalopatia, l’uomo (che è amministratore di sostegno della figlia,) fece causa al ministero. Gli accertamenti conclusero che la bambina era affetta da una forma di epilessia che nel 60% dei casi, ha sottolineato il perito, deriva proprio da encefalopatia che, come riportato già allora nella letteratura medica, può essere tra le «reazioni avverse» di quel vaccino. Per il consulente, quindi, il vaccino era la causa «altamente più probabile».
Rischio non comunicato ai genitori, spiega l’avvocato Giuseppe Romeo, che ha assistito la famiglia: «È stato riconosciuto che il medico non fornì le informazioni necessarie su un possibile nesso tra vaccino e patologia, poi insorta, e conosciuto». La donna ha ottenuto l’indennizzo, circa 850 euro al mese, che certo non le ridarà la salute.
Il Corriere della Sera – 6 maggio 2017