La giurisprudenza e la legislazione più recente hanno sempre più ristretto i margini entro i quali potevano essere effettuate le progressioni verticali. Era consolidato il principio secondo il quale questi margini non potessero essere estesi al punto da consentire riserve per tutti i posti messi a concorso. Su questa una scelta, compiuta in modo assai netto da parte del legislatore e confermata dalla Corte Costituzionale, è intervenuto il decreto legislativo 150/2009, per il quale le progressioni verticali possono essere effettuate esclusivamente sotto forma di riserva nell’ambito dei concorsi pubblici, con il divieto della possibilità di bandire concorsi esclusivamente riservati al personale interno.
È sul questo quadro normativo che il legislatore delegato dalla legge Madia introduce una misura transitoria, valida per il triennio 2018/2010, finalizzata alla «valorizzare le professionalità interne», con stringenti limiti numerici e procedurali. La procedura è chiaramente limitata alla progressione tra aree e categorie, con ciò rendendo evidente la non applicabilità all’accesso alla posizione dirigenziale, che rimane sempre da effettuare con il concorso pubblico a tutti gli effetti.
Il punto di partenza è rappresentato dal contestuale superamento del concetto di dotazione organica e la valorizzazione dei limiti di spesa, oltre che dal piano dei fabbisogni che ogni amministrazione elaborerà secondo le proprie regole ed esigenze, nei limiti economici e nel rispetto delle linee guida (in verità messe in dubbio dal Consiglio di Stato in sede di parere preventivo) previste dal nuovo articolo 6-bis del decreto nella nuova versione; per gli enti locali le quote assunzionali sono definite in linea generale sulla base delle cessazioni avvenute nell’anno precedente seppur nell’incertezza (alimentata da vari e discordanti pareri della Corte dei Conti) circa la possibilità di cumulare e utilizzarne i resti degli anni precedenti.
L’attivazione delle procedure totalmente interne potrà avvenire soltanto entro il limite del 20% delle nuove assunzioni previste nei piani. Dalla formulazione letterale della norma sembrerebbe che il riferimento sia alle singole e specifiche categorie (o aree): conseguentemente il calcolo del 20% andrà fatto sul corrispondente numero di posti della stessa categoria (o area) inseriti nel piano e non sul totale delle nuove assunzioni.
Di rilievo anche gli stringenti limiti ai requisiti e ai titoli da valutare, fermo restando il possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso dall’esterno; e ancora, particolarmente rilevante è il carattere delle prove selettive. Infatti, il riferimento a procedure volte ad accertare la capacità di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di casi specifici e concreti, consente di ritenere non sufficiente una prova per soli titoli e colloquio, ma indica la necessità di prevedere (in sede regolamentare) forme selettive più stringenti tra le quali almeno una prova scritta.
Il fine principale (la valorizzazione del personale) e la temporaneità della disposizione consente di poter ritenere non applicabili al caso di specie quelle disposizioni in materia di assunzioni quali la previa mobilità o l’utilizzo delle graduatorie vigenti da attivare prima di una nuova assunzione, in dubbio, invece, la verifica delle posizioni professionali in sovrannumero. E ancora, nel caso di specie la nuova assunzione incide sui costi del personale e sulle quote assunzionali nei limiti di costo e per il differenziale tra il precedente ed il nuovo inquadramento, ovviamente nel rispetto limite spesa personale (commi 557 e 562 dell’articolo 1 della legge 296/2006), e nel rispetto pareggio bilancio.
Il Sole 24 Ore – 5 giugno 2017