L’adozione di una legge che porta a un ribaltamento del sistema del calcolo delle pensioni e che viene applicata retroattivamente, con sacrifici sproporzionati per i pensionati è una violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Con la conseguenza che lo Stato è tenuto a corrispondere ai ricorrenti un risarcimento per il danno patrimoniale subito.
È la Corte europea dei diritti dell’uomo a intervenire con la sentenza depositata ieri relativa a otto ricorsi presentati contro l’Italia per le cosiddette «pensioni svizzere» (ricorso 21838/10), con la quale Strasburgo si è pronunciata, dopo aver già accertato la violazione italiana con la sentenza del 15 aprile 2014, stabilendo l’entità dell’indennizzo dovuto dall’Italia ai ricorrenti.
La sentenza di ieri non solo incide subito sulle casse dello Stato visto che nel complesso il Governo dovrà versare 871mila euro a cui aggiungere 96mila euro per i danni morali, ma è destinata ad avere un peso anche su ricorsi analoghi già pendenti in Italia, che hanno portato a un nuovo rinvio alla Corte costituzionale
Al centro della vicenda, i ricorsi di cittadini italiani che avevano lavorato in Svizzera per diversi anni. Trasferiti in Italia i contributi versati nel Paese elvetico, i ricorrenti avevano chiesto l’applicazione, per il calcolo della pensione, della Convenzione italo-svizzera del 1962. Così non era stato perché l’istituto di previdenza aveva utilizzato una retribuzione teorica e non quella effettiva. Di qui i ricorsi dinanzi ai giudici nazionali ma, mentre pendevano i procedimenti interni, il Parlamento aveva adottato la legge 296/2006, che prevedeva un calcolo molto penalizzante. Di qui il ricorso a Strasburgo che aveva dato ragione ai ricorrenti con una “doppia” condanna all’Italia sia per violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea, che assicura il diritto all’equo processo, sia dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 sul diritto di proprietà.
Sotto il primo profilo, Strasburgo ha ritenuto contraria alla Convenzione l’applicazione retroattiva della legge a danno dei pensionati. Per quanto riguarda il diritto di proprietà, la Corte aveva respinto ogni giustificazione avanzata dal Governo ritenendo che l’equilibrio del sistema pensionistico, nel caso di specie, non potesse essere classificato come motivo imperativo di interesse generale anche perché il danno subito era stato del tutto sproporzionato.
La Corte si era riservata di decidere sulla quantificazione dell’indennizzo. Lo ha fatto con la sentenza di ieri, con una determinazione degli importi che tiene conto della doppia violazione perpetrata dall’Italia e della legittima aspettativa delle cifre da ottenere da parte dei ricorrenti, prima dell’adozione di una legge applicata retroattivamente. Non c’è dubbio – osserva la Corte – che esiste un legame di causalità tra il pregiudizio subito e la violazione commessa dall’Italia. La Corte, poi, non ci sta a liquidare l’indennizzo come mera perdita di chance, secondo quanto sostenuto dal Governo. I ricorrenti, infatti, hanno subito un grave pregiudizio, con una riduzione di più della metà dell’importo della pensione, segno evidente di tagli sproporzionati e irragionevoli. Per la Corte, tuttavia, poiché un intervento ragionevole sarebbe stato compatibile con la Convenzione in presenza di esigenze generali, il calcolo del danno subito va fatto solo per la parte che va al di là di quella considerata ragionevole. Così, Strasburgo ha deciso di non procedere a un calcolo automatico basato sulla pensione che i ricorrenti avrebbero dovuto percepire prima dell’entrata in vigore della legge e le somme effettivamente percepite, ma ha preso in considerazione il 55% dell’importo che sarebbe stato ottenuto senza le modifiche legislative.
Marina Castellaneta – Il Sole 24 Ore – 3 giugno 2017