Te lo mostrano con orgoglio, come fosse un figlio tornato a casa dopo tanto tempo. «Ha visto che forza, che altezza? E queste spighe così grandi, con reste così lunghe e nere… Sembra che siano pronte a difendersi da ogni attacco». È già alto quasi un metro e mezzo, il grano Senatore Cappelli e quando sarà maturo, fra 40 giorni, arriverà a 180 — 200 centimetri». È stato famoso per decenni, il grano “inventato” dall’agronomo e genetista Nazareno Strampelli (1966 — 1942) e dedicato al senatore Raffaele Cappelli che gli aveva donato un campo per i suoi esperimenti. Regalo ben ricambiato: Strampelli riuscì a preparare 800 incroci fra i grani del mondo e a mettere in produzione 80 varietà. Quella battezzata Senatore Cappelli è comunque la più famosa: fu protagonista principale della “battaglia del grano” voluta da Benito Mussolini.
Non si parla però di storia e di politica, nella sede della Sis, Società italiana sementi, controllata dai Consorzi agrari d’Italia e «più importante azienda sementiera interamente italiana e tutta nelle mani del mondo agricolo ». Il Senatore Cappelli, oggi, è soltanto uno dei «semi antichi ritrovati » e rimessi sul mercato per salvare la biodiversità e la ricchezza del Made in Italy. «Produciamo — raccontano Mario Conti, direttore della Sis e Mauro Tonello, vice presidente di Coldiretti nazionale — il 26% dei semi per il grano tenero e oltre il 30% di quello duro. Abbiamo poi l’8% per mais e soia, il 10% del riso. Tutto il resto, purtroppo, è in mano a tre multinazionali. Secondo la Fao, nell’ultimo secolo è stato perso il 75% della biodiversità vegetale. Entro il 2050 si prevede un’altra perdita, pari a un terzo delle specie rimaste. La ricerca, con tecniche di ibridazione tradizionale e recupero dei semi antichi, difenderà i nostri contadini e dunque i consumatori».
Il “grano del Duce”, per decenni, non è stato certo un campione di biodiversità. Il professor Strampelli lo seleziona nel 1915 con la tecnica dell’“ibridazione intraspecifica”, incrociando semi nazionali e africani. Nel 1923 si passa alla produzione. Quando, due anni dopo, inizia la “battaglia del grano”, il professore diventa l’interlocutore principale del Comitato permanente del grano presieduto dallo stesso Mussolini. Il Senatore Cappelli è molto alto («Ma i grani agli inizi ‘900 — racconta Stefano Ravaglia, responsabile ricerca della Sis — erano ancora più alti») e spesso vittima dell’“allettamento”, ma è robusto e produttivo e ha bisogno di poca acqua.
All’inizio della campagna del grano, il Regno d’Italia importa 25 milioni di quintali di frumenti, contro un consumo nazionale di 75. Nel 1931 — questi i dati annunciati dal governo fascista — la produzione nazionale arriva a 81 milioni di quintali. Il grano del Senatore parte dalla Puglia e monopolizza l’Italia. Nel 1932, con le altre “sementi elette” del professor Strampelli, conquista il 94,6 della produzione di grano duro pugliese, il 94,4 del Veneto, il 96,6 della Lombardia, il 100% della Sardegna. Ancora nel 1949 viene seminato su 720mila ettari, pari al 57% della terra dedicata al grano duro.
Poi tutto fu solo un ricordo. Nel 1996 ne furono prodotti appena 100 quintali, nemmeno il carico di un Tir. Ora è seminato su 1.000 ettari. «Dal 2015 — raccontano i dirigenti della Sis — abbiamo acquistato dal Crea, Centro di ricerca per la cerealicoltura di Foggia, i diritti di riproduzione e commercializzazione del seme certificato. Il Senatore è adatto a questo clima che cambia, perché non teme la siccità. Ha una coltivazione a basso o nullo impiego di mezzi tecnici, di concimi, di fitofarmaci o diserbanti. È un grano a basso glutine che ha comunque una quota proteica alta. Ha pochissimi zuccheri ed è ricco di magnesio, potassio, zinco…».
La filiera prevede anche l’arrivo in tavola. «Abbiamo fatto accordi con le imprese di trasformazione, che per questo grano speciale hanno accettato di pagare di più i coltivatori: 100 euro al quintale per il biologico, 80 per il non biologico. Gli altri grani oggi vengono pagati poco più di venti euro al quintale. Ma il Senatore rende 25-30 quintali per ettaro contro gli 80-100 degli altri frumenti. Lo abbiamo seminato dalla Sicilia al nord di Udine. Vogliamo che gli ettari dedicati diventino decine di migliaia».
Il frumento del Duce può dunque risorgere, come grano antico e pregiato, e senza camicia nera. In fondo, non è mai scomparso. Si calcola che l’80% delle varietà oggi commercializzate abbiano nel proprio patrimonio genetico una certa percentuale dell’invenzione di Strampelli. Su una lapide posta sulla sua casa, a Crispiero di Castelraimondo, il professore viene ricordato così: «Dove cresceva una spiga di grano ne fece crescere due». In tempi di fame, non fu cosa da poco.
Repubblica – 25 maggio 2017