Pur fiaccati dalla lunga crisi, gli italiani hanno riscoperto il piacere della tavola. Anche se nei confronti del cibo non sono più quelli di una volta, immortalati da Alberto Sordi con la celebre scena dei macaroni nel film “Un americano a Roma”. La nuova parola d’ordine, infatti, è neo-sobrietà. Atteggiamento da non confondere con l’ascetismo: è vero che in questi anni le famiglie hanno risparmiato 133 miliardi per “cautelarsi” dai rischi presenti e futuri, ma la prudenza negli acquisti alimentari si concentra più sulla cura nella scelta dei cibi che nella rinuncia a qualche sfizio.
A scattare la fotografia del consumatore italiano “maturato” negli anni della recessione è la ricerca “Il futuro dell’alimentazione: tra stili di vita contemporanei e nuovi modelli di fruizione”, condotta da Censis per Nestlé, da cui emerge chiaramente che il cibo è tornato al centro degli stili di vita delle nostre famiglie: dopo un calo dei consumi alimentari del 10,9% tra il 2007 e il 2016, oggi la quota di spesa alimentare sul totale dei consumi si è attestata al 14,3% (+1,1% negli ultimi due anni), una cifra superiore alla media degli altri big Ue (11,4%) e dell’Europa a 28 Paesi (12,3%).
Si torna, dunque, a spendere per il cibo, ma con un nuovo mix di abitudini indotte dalla prolungata incertezza economica e dalla diffusione di internet. Nel 2016, per esempio, 790mila italiani, di cui 260mila Millennial, hanno acquistato prodotti alimentari via web.
Il primo ingrediente del nuovo consumatore è la curiosità: la trasparenza delle informazioni nella spesa risulta importante per il 94,4% degli italiani. Non solo: in forte aumento risulta anche il processo di personalizzazione nei confronti di ciò che si mangia a tavola. Lo studio Censis-Nestlé utilizza a tal proposito lo slogan “Io voglio il mio cibo”. Tradotto in cifre, significa che l’85,7% degli italiani si informa prima di acquistare un prodotto alimentare e la percentuale sale fino all’87,4% tra i Millennial. E a suffragare che la ricerca del cibo sia sempre più ritagliata sulle proprie esigenze è proprio il fiorente utilizzo dei siti web: l’online è oggi il canale primario per il 57% della popolazione e per il 74% dei Millennial, mentre la televisione segue a distanza (rispettivamente per il 30% e il 19% del campione).
Gli italiani, poi – è il secondo fattore della neo-sobrietà –, stanno sempre più abbracciando il pragmatismo, come dimostrano i 31 milioni di consumatori che utilizzano cibi pronti, i 26 milioni che mettono nel carrello prodotti salutisti (cibi “senza” o cibi “plus”, assai gettonati tra i Millennial) e i 19,4 milioni che ricorrono ai take-away acquistati online e con pronta consegna. Il terzo elemento, in netta controtendenza rispetto al resto d’Europa, riguarda il fattore “solo prezzo”, che per gli italiani non è prioritario: meglio, è il primo driver d’acquisto soltanto per l’1,3% dei nostri connazionali. Un’eccezionalità tutta italiana, visto che nel resto del mondo la variabile prezzo incide ancora per il 32 per cento. Ben sette italiani su dieci, al contrario, considerano decisive altre variabili valoriali diverse dal prezzo: la trasparenza, la funzionalità, la genuinità, l’eticità ecosociale.
Anzi – conferma la ricerca – la disponibilità a spendere cresce soprattutto là dove si riconosce l’italianità, intesa come localizzazione della produzione e come provenienza degli ingredienti (qualità apprezzata rispettivamente dal 75,8% e dal 78,2% degli intervistati). L’italian food esercita ancora un’attrazione «potente»: basti pensare che il giro d’affari globale della pizza italiana supera i 62 miliardi di euro e che il 71,9% degli stranieri residenti nel nostro Paese cucina piatti italiani (per contrappeso, nel carrello dei nostri connazionali i prodotti etnici sono cresciuti dell’8% nel primo semestre 2016). Altri driver su cui si è disposti a pagare di più sono la certificazione di qualità (importante per il 78,5%), la certezza che i cibi siano sottoposti a rigorosi controlli su sicurezza e qualità (77,3%) e la marca di fiducia (il 67% è disposto a pagare di più per questi prodotti). Tutte caratteristiche che connotato quelli che i ricercatori definiscono “cibi champion”.
L’evoluzione del consumatore nei suoi rapporti con il cibo influisce anche sulle strategie delle imprese. «La sfida – commenta Massimo Ferro, direttore Corporate strategy di Nestlé in Italia – è quella di saper rispondere in modo adeguato e veloce alle nuove richieste dei consumatori, oggi più informati e sofisticati. È una competizione che si vince innovando prodotti e processi. In tal senso Nestlé, forte dei suoi oltre 5mila ricercatori in tutto il mondo, investe con decisione nella ricerca applicata alla nutrizione. Basti pensare che abbiamo progetti per ridurre entro il 2020 di almeno 18mila tonnellate lo zucchero dai prodotti venduti in Europa e abbiamo trovato una modalità di strutturare diversamente lo zucchero per utilizzarne molto meno senza cambiare la percezione del gusto».
Marco Biscella – Il Sole 24 Ore – 22 maggio 2017