Influenza aviaria, l’allarme è cessato. La direzione generale della Sanità animale del ministero della Salute ha revocato, con un decreto adottato martedì ma in vigore da oggi, i provvedimenti restrittivi dell’attività di allevamento che nel Veronese erano stati adottati da metà aprile, anche se parzialmente modificati all’inizio di maggio. Si trattava di misure di protezione e sorveglianza straordinarie, che andavano dai divieti di accasamento di alcune specie di pennuti all’obbligo di effettuare controlli più approfonditi di quelli ordinali, che erano state adottate in seguito alla scoperta, anche nella nostra provincia, di alcuni focolai di contagio. Se già ad aprile era terminata l’efficacia delle prescrizioni che erano state dettate in seguito alla scoperta, avvenuta a marzo, del virus in un allevamento di tacchini di Cazzano di Tramigna, ora la stessa sorte hanno avuto anche quelli conseguenti alla riapparizione della malattia a San Bonifacio, in un’altra struttura in cui si crescono tacchini.
Le restrizioni erano particolarmente rilevanti, visto che era stato vietato l’inserimento di nuovi animali in tutta l’area della provincia veronese posta al di sotto dell’autostrada Milano-Venezia, in vari comuni dell’Est, posti al di sopra di tale linea e in alcune zone del Vicentino. Queste limitazioni sono formalmente rimaste vigenti sino a oggi, anche se con caratteristiche e deroghe più volte cambiate in seguito all’evolversi della situazione. Di fatto, comunque, già a inizio maggio le maglie erano state allentate, in considerazione del fatto che non erano stati scoperti nuovi focolai. La revoca delle ordinanze, quindi, segna ufficialmente la fine di una situazione che aveva generato notevoli preoccupazioni. Verona, infatti, per quanto riguarda l’avicoltura è la provincia più impor tante d’Italia. Se il Veneto vale quasi il 40% della produzione nazionale di carni avicole ed il 16% delle uova, è soprattutto grazie alla provincia scaligera, che conta più della metà degli allevamenti veneti, i dati più recenti parlano di circa 1.100 su 2.100, oltre ad importanti industrie di trasformazione e commercializzazione.
Luca Fiorin – L’Arena – 19 maggio 2017