La classe operaia non va più in paradiso, ma in pensione. Ma la pensione oggi, nell’economia del nostro Paese, è una sorta di piccolo paradiso, nel marasma di lavori atipici, precari e a termine.
Ecco perché l’Istat nel suo rapporto annuale ha scelto di scattare una fotografia dinamica dell’Italia, inventando i gruppi sociali che sostituiscono le vecchie «classi» e dove le famiglie degli operai in pensione sono inaspettatamente le più numerose e tra le più benestanti (quasi 6 milioni di famiglie su 25,7 milioni che sono in Italia).
La foto Istat di quest’anno, purtroppo, appare un po’ sbiadita con un’Italia sempre più anziana, con l’ascensore delle classi bloccato e sette «Millenials» (i giovani nati tra i primi anni Ottanta e il 2000) su dieci bloccati a casa con i genitori (tradotto in numeri 8,6 milioni di persone tra i 25 e i 34 anni che non abbandonano il tetto di mamma e papà).
«Siamo in fase di recupero della crescita, sebbene a ritmo moderato», dice il presidente dell’Istat Giorgio Alleva commentando la crescita dello 0,2% del Pil nel primo trimestre di quest’anno, ma nonostante la timida ripresa non si può non notare come la forbice della disuguaglianza continua ad aumentare. Un numero inquietante: il 6,5% della popolazione rinuncia alle visite mediche per motivi economici. Era il 4% nel 2008.
La forbice che si allarga: le spese mensili del gruppo dirigente sono il doppio del gruppo più basso sociale (3.810 euro contro 1.697). E questo quando 3 milioni 590 mila famiglie (il 13,9% del totale) sono senza redditi da lavoro. Erano 3 milioni 172 mila dieci anni fa.
A questo conto, però, si devono aggiungere i cosiddetti i Neet, un acronimo inglese che vuol dire che esistono giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano. In Italia sono i più numerosi d’Europa: 2 milioni 200 mila.
Siamo il Paese più anziano dell’Unione europea e nel mondo secondo soltanto al Giappone: al 1° gennaio del 2017 gli individui con più di 65 anni hanno raggiunto la quota del 22%. E anche gli stranieri nel nostro Paese cominciano a invecchiare: l’età media è passata da 31,1 a 34,2 anni.
Ma i nostri ultrasessantacinquenni sono gagliardi e tosti. Lo dicono le statistiche: dal 2010, infatti, è aumentato il numero di anni vissuto senza limitazioni nelle attività della vita quotidiana dopo i 65 anni: da 9 a 9,9 per gli uomini e da 8,9 a 9,6 per le donne.
Siamo anziani in buona forma, ma con le culle drammaticamente vuote, lo sappiamo da un po’ con il nostro indice di natalità che è sceso a 1,27 figli per donna ed è il più basso d’Europa. E per questo con soltanto 474 mila bambini nati il saldo di quest’anno tra nati e morti è stato negativo per ben 134 mila unità. Siamo anche pigri. L’Istat è andato a fare i conti con le nostre attività quotidiane e ha scoperto che quattro persone su dieci dai 3 anni in su non praticano sport né attività fisica nel tempo libero. Sono più pigre le donne (43,4% contro il 34,8% degli uomini).
Del resto a guardare le tabelle si vede come le donne hanno molto da fare in casa: l’Istat ha calcolato che le casalinghe con il loro lavoro producono beni e servizi per 49 ore a settimana.
In ogni caso rimaniamo un popolo di gaudenti. Ci piace bere, in Italia: il nostro istituto di statistica ha calcolato che il 64,2% della popolazione dagli 11 anni in su ha consumato almeno una bevanda alcolica l’anno, il 21,4% almeno una bevanda ogni giorno.
Alessandra Arachi – Il Corriere della Sera – 18 maggio 2017