Chi si ferma alla laurea triennale trova più lavoro ed è più «ricco» di chi completa l’iter 3+2 e ottiene quella magistrale. È questo il primo dato che balza all’occhio nel rapporto annuale del consorzio interuniversitario Almalaurea sul profilo e sulla condizione dei laureati veneti a un anno dalla proclamazione: in quanto a occupazione e reddito, la differenza di preparazione tra chi si accontenta del triennio e chi sceglie di proseguire gli studi per specializzarsi non si nota. E anzi l’ago della bilancia, seppur di poco, pende proprio dalla parte di chi entra nel mercato del lavoro con la «scorciatoia».
L’indagine di Almalaurea riguarda 13.592 laureati triennali e 6.838 laureati magistrali usciti dalle Università di Padova, Verona, Ca’ Foscari e Iuav nel 2015; dal conteggio sono esclusi i corsi di laurea magistrale a ciclo unico come Medicina e Giurisprudenza, dove l’accesso alla professione richiede tempi più dilatati.
Per quanto riguarda i dottori triennali, si registra un tasso di occupazione del 77% e una retribuzione media di 1.138 euro netti al mese; sul fronte dei dottori magistrali, invece, il tasso di occupazione è del 76% e la retribuzione media è di 1.134 euro netti al mese. I laureati magistrali del Veneto soccombono anche nel confronto con il resto d’Italia, almeno sotto il profilo economico: a livello nazionale, infatti, i dottori triennali trovano un impiego nel 68% dei casi e portano a casa uno stipendio mensile di 1.104 euro netti, mentre quelli magistrali raggiungono un’occupazione del 71% e una retribuzione di 1.153 euro.
«I due tipi di laureati non hanno la stessa portata sul mercato – spiega Paolo Gubitta, docente di Organizzazione aziendale a Economia – chi si ferma dopo tre anni spesso lo fa perché gli capita l’occasione. Sulla retribuzione pesa la percezione dei datori di lavoro, perché sia triennali che magistrali sono persone senza esperienza e inoltre i contratti sono grossomodo gli stessi. Bisogna posticipare l’analisi: il vantaggio dell’investimento formativo emerge dopo 2-3 anni».
Per quanto riguarda l’opinione sul titolo di studio conseguito, in Veneto è giudicato «efficace» dal 47% dei dottori magistrali contro il 48% della media nazionale (e contro il 53% dei dottori triennali). La situazione migliora (ma nemmeno troppo) prendendo in considerazione il campione di 6.484 laureati magistrali intervistati a cinque anni dall’alloro (dato che per i triennali non è disponibile): l’89% di chi si è laureato nel 2011, oggi ha un lavoro contro l’84% della media nazionale, ma la retribuzione mensile si ferma a 1.393 euro contro i 1.405 a livello italiano. Insomma, fuori dal Veneto la busta paga aumenta di 12 euro: almeno dal punto di vista economico, sembra proprio che chi vuole frequentare un corso magistrale faccia meglio a cambiare regione.
Per il resto i laureati veneti (sia triennali che magistrali) sono quasi sempre sopra la media nazionale, a partire dall’età media alla laurea (25,3 anni contro 26,1): Veneto batte Italia per laureati in corso (62% contro 49%), tirocini (68% contro 56%), periodi di studio all’estero (15% contro 11%) e lavoro durante gli studi (71% contro 65%), mentre il voto di laurea è un po’ più basso (102,2 contro 102,5). L’89% dei laureati è soddisfatto dell’esperienza universitaria, con punte dell’86% per il rapporto con i docenti e dell’82% per il carico di studio ricevuto; il consenso scende al 76% per le aule.
Presi singolarmente, inoltre, gli Atenei mostrano valori più elevati rispetto a quelli del dato aggregato: a Padova gli ex studenti magistrali proclamati nel 2011 guadagnano 1.414 euro al mese; a Ca’ Foscari il voto medio di laurea è 103,2; a Verona i laureati triennali occupati sono l’80% (+20% dal 2013) e quelli magistrali sono l’83%.
Alessandro Macciò – Il Corriere del Veneto – 17 maggio 2017