“Va bene istituire la commissione d’inchiesta sull’inquinamento da Pfas, se non altro per superare la grave mancanza di comunicazione e coordinamento tra Giunta e Consiglio regionale. Ma i cittadini della zona rossa sono angosciati e stanchi di analisi del problema: desiderano risoluzioni urgenti”.
Ad affermarlo la consigliera regionale Cristina Guarda (AMP), commentando la decisione del Consiglio regionale di istituire la Commissione d’Inchiesta per le acque inquinate del Veneto in relazione alla contaminazione di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS).
L’esponente mette in evidenza una serie di questioni aperte, a partire da quella dell’acquedotto: “dopo quattro anni di attesa si avviino immediatamente i progetti già presentati dai gestori del servizio idrico, si utilizzino gli 80 milioni di contributo statale e si stanzino le risorse necessarie. O i soldi si tirano fuori solo per la Pedemontana?”.
“E anche sulla bonifica: Zaia prometteva 7000 carotaggi sotto la Miteni. Si dia avvio almeno ad un centinaio di questi, per aprire la strada ad un progetto coraggioso di bonifica, con l’obiettivo di fermare l’inquinamento della falda e permettere lo smaltimento di quello attuale. Servono poi linee guida chiare per aiutare i cittadini a capire come comportarsi, visto che siamo sottoposti costantemente ad un inquinamento da almeno 30 anni e che nascere da mamme contaminate e crescere in territorio ostile ci rende più fragili rispetto al resto della popolazione. C’è poi – conclude Guarda – l’assistenza agli operatori agricoli che va data non solo nell’analisi delle acque ma anche nella messa in sicurezza dei pozzi. Non da ultimi, sono necessari interventi strutturali per la revisione del sistema industriale, sia per quanto riguarda l’uso delle acque che sul fronte delle acque reflue”.
“La denuncia di Greenpeace è chiara e deve essere considerata come un monito sulla necessità che la Regione intervenga in maniera incisiva per fronteggiare l’emergenza Pfas”.
Il commento è della consigliera regionale Cristina Guarda (Amp) dopo la diffusione dei risultati del rapporto “Non ce la beviamo”, presentato oggi a Padova. Il monitoraggio effettuato dall’associazione sull’acqua potabile raccolta in 18 scuole primarie e sette fontane pubbliche nelle province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo, spinge Greenpeace a sostenere che “i cittadini potenzialmente esposti alla contaminazione da Pfas attraverso l’acqua potabile sono oltre 800.000″ e che “i provvedimenti di tipo sanitario adottati finora dalla Regione VENETO non sono sufficienti a tutelare l’ambiente e la salute dei cittadini”.
Da parte sua la consigliera evidenzia come “la Regione ha la possibilità di imporre limiti cautelativi più stringenti in tutto il territorio. Così come ha il dovere di applicare i provvedimenti approvati all’unanimità sia in sede di Giunta che di Consiglio, ovvero la modifica del piano di tutela della acque. Ricordo che questo provvedimento prevede che nell’area di ricarica della falda tutti gli impianti e siti inquinanti o potenzialmente inquinanti devono essere rimossi o delocalizzati. Zaia e la sua Giunta dunque non si nascondano e non liquidino con sufficienza questo monitoraggio che testimonia di un inquinamento diffuso. C’è bisogno di maggior controllo e di interventi per bonificare e difendere i cittadini dall’inquinamento legato ai Pfas”.
16 maggio 2017