Marco Bresolin. Via libera alla manovrina correttiva, meno ottimismo rispetto al governo italiano sul tasso di crescita, qualche dubbio sulla capacità di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2020 e il dito puntato – ancora una volta – sulle vulnerabilità del sistema bancario. Saranno questi i punti salienti delle previsioni economiche che la Commissione europea diffonderà oggi per l’Italia e per gli altri Paesi della zona euro. Bisognerà poi attendere fino a mercoledì prossimo (quando verranno diffuse le raccomandazioni per ogni singolo Stato) per capire se effettivamente l’Italia avrà scampato l’incubo-procedura, ma in questo momento le informazioni che filtrano da Bruxelles dicono che non verrà aperto alcun contenzioso.
La vera partita si giocherà in autunno. Perché il debito pubblico rimane attorno al 133% e il programma di acquisto di titoli della Bce – che aiuta Roma a tenere sotto controllo i tassi di interesse – non potrà durare in eterno. Anche se ieri, su questo fronte, sono arrivate parole a prima vista rassicuranti: «Quel momento ancora non è arrivato», ha detto Mario Draghi, spiegando che il programma di Quantitative Easing per ora continua perché «sull’inflazione ancora non ci siamo». Però poi ha lasciato intendere che non è il caso di adagiarsi sugli allori e ha invitato gli Stati a «prepararsi»: spetta a loro, e non alla Bce, organizzarsi per la fine del QE.
Draghi ne ha parlato durante la sua audizione al parlamento olandese, in una seduta a tratti tesi. I deputati dell’Aia lo hanno accusato di essere troppo accomodante con gli Stati del Sud che hanno un debito elevato. In questi Paesi – sostengono – SuperMario è diventato una sorta di «eroe». «Non sono un eroe, non è il mio lavoro essere un eroe – ha replicato seccamente – . Semplicemente perseguo il mio mandato che è” quello di garantire “la stabilità dei prezzi». La tensione è salita ulteriormente quando un deputato ha chiesto lumi sugli scenari che potrebbero seguire l’uscita dell’Italia dall’euro. Draghi si è rifiutato di rispondere e ha liquidato lo scenario come un’ipotesi «senza la minima base» perché la moneta unica «è irrevocabile».
I conti italiani restano comunque sotto osservazione. Oggi le tabelle preparate dalla Dg Ecofin diranno che lo «sforzo strutturale aggiuntivo» pari allo 0,2% del Pil, richiesto dalla Commissione, è stato portato a termine. Le buone notizie, però, sembrano finire qui. Il commissario agli Affari Economici, Pierre Moscovici, presenterà il quadro delle stime di crescita a livello europeo e – come già era successo a febbraio – l’Italia sarà in fondo alla classifica. Nel Def, il governo ha stimato un aumento del Pil pari all’1,1% per il 2017: le previsioni di Bruxelles sono molto meno ottimistiche e dovrebbero essere inferiori di 2-3 decimi.
Il Documento di economia e finanza redatto il mese scorso dal Tesoro dice inoltre che l’Italia nel 2018 porterà il deficit all’1,2% del Pil in termini nominali e allo 0,7% in termini strutturali, con una riduzione in quest’ultimo caso pari allo 0,8%. Se così fosse, proseguendo su questa strada, Roma raggiungerebbe il pareggio di bilancio nel 2020. Bruxelles non ci crede e considera troppo ottimistico un balzo pari allo 0,8 per cento del Pil in termini strutturali.
La Stampa – 11 maggio 2017