Quest’anno sono arrivati anche gli ibis. Assieme agli aironi e alle cicogne passeggiano sulle risaie già allagate e seminate e su quelle ancora asciutte. « Zucch e melon a la sua stagion » (zucca e melone hanno la loro stagione), dice Fabio Camisani, 47 anni, 140 ettari di risaie in proprietà o in affitto a Gaggiano nel Milanese. «Io seminerò a fine mese, come sempre. E cercherò anche di risparmiare sui lavori, perché per piantare il riso oggi ci vuole tanto ottimismo». Bastano pochi clic sull’iPhone per capire che ibis e aironi e soprattutto le bionde distese di arborio, carnaroli, roma, vialone e altri re dei risotti in pochi anni potrebbero sparire. «Ecco, guardi. Nelle borse di Milano, Vercelli, Novara e Pavia il carnaroli oggi viene venduto da un minimo di 374 a un massimo di 405 euro la tonnellata, pari a 0,374 e 0,405 euro al chilo. Ufficialmente l’anno scorso era quotato a 728 euro, il 55,63% più di adesso. Ma io ero riuscito a venderlo anche a 900 euro la tonnellata».
La Coldiretti questa mattina chiama i suoi alla “guerra del riso”, con appuntamento davanti al ministero dell’Agricoltura. Ci sarà anche Fabio Camisani di Gaggiano, dopo un viaggio notturno in pullman. «Un’altra annata così — racconta — e tante aziende salteranno in aria. Io per ora resisto perché ho la mia piccola risiera e riesco a vendere parte del riso direttamente al consumatore. Ma è difficile essere ottimisti in un settore dove tutti i prezzi vengono decisi da chi non produce. C’è chi fissa il costo del gasolio, della luce, delle sementi ecc. e altri ancora decidono a quale prezzo il riso debba essere venduto. Quelli che non contano nulla siamo noi risicoltori. Io già con la semina punterò al risparmio, con la “minima lavorazione”: preparo il terreno con un solo passaggio di ancore o dischi, invece di usare l’aratro e poi l’erpice, che vengono a costare il triplo. La produzione sarà più bassa del 15-18% ma tanto, con i prezzi che ci sono… Comunque, con l’invasione che arriva dall’Asia, il riso non verrà certo a mancare».
È una battaglia su più fronti, quella che sta per scoppiare. Secondo uno studio della Coldiretti, rispetto al 2009, le importazioni in Europa di risone e di riso lavorato nel 2016 sono aumentate rispettivamente del 5.650% e del 4.440%. Solo il riso lavorato raggiunge 1,33 milioni di tonnellate, e in Italia ne arrivano 244.000. Paesi esportatori sono soprattutto Cambogia, Myanmar e Vietnam, i cosiddetti Pma, Paesi meno avanzati che operano in regime Eba (possono esportare tutto tranne le armi) a dazio zero. «Questa è una misura — sarà ribadito anche oggi alla manifestazione di Roma — che finisce in realtà per favorire le multinazionali del commercio, senza ricadute concrete sugli agricoltori locali che subiscono tra l’altro anche lo sfruttamento del lavoro minorile. Ci sono poi gravi danni per la salute dei contadini e per l’ambiente, per l’impiego intensivo di prodotti chimici vietati in Europa».
L’anno scorso, per il riso e derivati arrivati dai Paesi extracomunitari in Europa sono scattate undici allerte sanitarie, segnalate dal Rasff, il sistema di allarme rapido comunitario, per «presenza irregolare di residui antiparassitari, di aflatossine cancerogene, infestazioni da insetti, livelli fuori norma di metalli pesanti». E qui scatta un secondo fronte. «Il riso Made in Italy è una realtà da primato per qualità, tipicità e sostenibilità. Va difeso con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza e con la pubblicità dei nomi delle industrie che utilizzano riso straniero».
Il consumatore deve sapere da dove arrivi il riso che acquista e solo l’obbligo di etichetta può permettere una scelta. La polemica è stata accesa in particolare dalla Coldiretti Piemonte, che nei giorni scorsi ha inviato una lettera aperta alle 50 riserie industriali e artigianali della regione. «Tre semplici domande: quanti quintali di risone acquistate dalle aziende agricole piemontesi? Quanti ne acquistate all’estero? Quali sono in Paesi extraeuropei dove fate i vostri acquisti?». Domande difficili in un mondo “antico” dove ancora pesano moltissimo figure come i mediatori ed i commercianti, con un ruolo importante anche nella definizione dei prezzi.
Senza misure precise, la risaia italiana (è la più importante d’Europa) rischia la scomparsa. La Cia (Confederazione italiana agricoltori) e Confagricoltura hanno chiesto al governo la dichiarazione dello stato di crisi. Fabio Camisani di Gaggiano guarda le sue risaie. «È angoscioso seminare senza sapere se venderai il tuo riso. Ci debbono ridare la speranza».
Repubblica – 13 aprile 2017