Paolo Baroni. Il governo si prende qualche giorno in più per mettere a punto il Documento di economia e finanza e la manovrina da 3,4 miliardi: anziché il fatidico 10 di aprile, termine peraltro non perentorio, il Consiglio dei ministri potrebbe essere convocato l’11 o forse il 12. Dipende da come Gentiloni e Padoan riusciranno a mediare tra le spinte contrapposte: l’esigenza di far quadrare i conti, le richieste di Bruxelles, quelle del Pd e di Matteo Renzi, e quelle degli alleati da Alfano a Mdp. In discussione c’è un pacchetto importante di misure: il Def, con l’annesso Piano nazionale delle riforme; la manovrina incentrata soprattutto su recupero dell’evasione e tagli di spesa; ed infine il decreto Enti locali, che potrebbe contenere lo sblocco del turn over nei comuni, con la soglia che verrebbe portata dal 25 al 50%, e 3-400 milioni di nuovi fondi per le Province.
Lo scoglio del Pnr
Lo scoglio più insidioso è rappresentato dal Pnr, dove Padoan vuole inserire la riforma del catasto e la prosecuzione delle privatizzazioni. Il Pd, invece, non solo ha già detto «no» a nuove dismissioni di asset pubblici (a cominciare da Poste ed Fs), ma in occasione dell’incontro coi deputati dell’altro giorno ha fatto sapere a Padoan che anche il progetto di mettere mano agli estimi catastali va rimesso nel cassetto. Perché impatterebbe sulla tassazione della casa e in un anno elettorale farebbe più danni che altro. Sulle privatizzazioni Padoan sembra però determinato a tener duro, confermando in linea di principio tutti i programmi. La riforma del catasto invece più passano i giorni e più traballa, vittima del diktat renziano che vieta ogni aumento di tasse.
Cortocircuito Ap-Mdp
Il pacchetto che vedrà la luce martedì o mercoledì sarà dunque frutto di un compromesso che terrà conto delle indicazioni raccolte da Padoan e dei contatti più o meno informali del premier. Ieri Gentiloni avrebbe dovuto vedersi coi capigruppo dell’Mpd ma poi l’incontro è saltato complice, pare, il clima di fibrillazione prodotto dall’incidente di mercoledì in Senato. Gli ex Pd, che potrebbero vedere il premier lunedì, hanno ripiegato illustrando le loro idee in una conferenza stampa. Speranza, Laforgia e Guerra hanno così confermato il loro sostegno a Gentiloni («non siamo quelli che mettono in fibrillazione il governo»), ma in cambio chiedono «uno scatto di reni», ovvero «un aumento netto degli investimenti di almeno mezzo punto di Pil all’anno per tre anni a favore di un grande piano del lavoro e per l’ambiente». Ieri alla Camera hanno votato sì al decreto che abolisce i voucher (passato con 232 sì) ma con Epifani hanno poi chiesto al governo di ascoltare i sindacati. L’esatto contrario di quello che propone Alfano: per il leader centrista «non si deve cedere al ricatto della Cgil» e per questo Ap rilancia lavoro intermittente, mini jobs e bonus famiglia. Proposta già bollata come «inaccettabile» da Bersani, che a sua volta frena pure sulle privatizzazioni, mentre Alfano le appoggia. Un vero cortocircuito di cui Gentiloni farebbe certo a meno.
La Stampa – 7 aprile 2017