La «definizione agevolata» vola, ma hai voglia a rottamare cartelle esattoriali, quando mezza Italia ha debiti per tasse, contributi e multe non pagate. Gli italiani che hanno pendenze arretrate, ha rivelato ieri in Senato l’amministratore delegato di Equitalia Ernesto Maria Ruffini, sono la bellezza di 21 milioni. Poco più della metà ha un debito modesto, fino a mille euro, ma tra questi ci sono anche 800 mila contribuenti (il 4% dei morosi) che ha una pendenza arretrata di oltre 100 mila euro.
Su questi campioni dell’evasione il fisco oggi si accanisce, tanto che oltre la metà degli 8,7 miliardi riscossi da Equitalia nel 2016 è stata sfilata proprio a loro, ma moltissimi contribuenti continuano a farla franca, trovando ogni stratagemma possibile per non saldare il conto. E così il debito arretrato che Equitalia deve ancora riscuotere per conto del fisco, dell’Inps, dei Comuni, arriva a dimensioni quasi inverosimili: 817 miliardi di euro, più o meno la metà dell’intero prodotto interno lordo della Repubblica italiana del 2016. Con prospettive di recupero minime.
«Per il 43% quell’importo è difficilmente recuperabile» ha confermato ieri in Senato Ruffini. «147 miliardi sono dovuti da soggetti falliti, 95 miliardi da nullatenenti, 85 da persone decedute e imprese cessate, per altri 30,4 la riscossione è sospesa per sentenze giudiziarie o su richiesta dei creditori». Restano 459 miliardi, ma 348 si riferiscono a soggetti nei cui confronti Equitalia ha già tentato azioni di recupero esecutive che si sono rivelate un buco nell’acqua. I crediti riscuotibili scendono a 84,6 miliardi, ma per 32,7 di questi non si può fare niente, perché sono “protetti” da specifiche norme, come quelle che impediscono il pignoramento dell’unico immobile di proprietà.
Alla fine restano 51 miliardi di crediti da riscuotere e un problema enorme da risolvere. Quei debiti che Equitalia non riesce a incassare restano pur sempre partite attive per i creditori che glieli hanno affidati. Cancellarli significa, per questi enti, tradurli in una perdita di bilancio, e così restano nella pancia di Equitalia. Le nuove norme di legge sulle comunicazioni di inesigibilità dei ruoli dopo cinque anni non risolvono il problema, che come detto è alla radice. «Così ad esempio le quote residue consegnate a Equitalia nel 2000, diciassette anni fa, rimarranno nel magazzino da riscuotere per altri sedici anni» ha ammesso Ruffini.
Nel frattempo la rottamazione delle cartelle procede a gonfie vele. Le domande presentate sono state fino a pochi giorni fa ben 600 mila, e ne sono state già lavorate 500 mila, per un controvalore complessivo residuo di 8,3 miliardi. Tre quarti dei contribuenti che hanno chiesto la definizione agevolata ha optato per un pagamento rateizzato (e in genere sul numero massimo di rate possibili, cinque). La prospettiva di evitare il pagamento di interessi e sanzioni sulle vecchie cartelle sembra dunque essere un buon incentivo per lo smaltimento del debito arretrato. Anche l’attività di rateizzazione delle cartelle procede a ritmo forsennato. Non tutti possono pagare in appena due anni, come prevede la rottamazione, il proprio debito fiscale, e la possibilità di dilazionare i pagamenti in un decennio continua ad essere allettante per molti contribuenti, soprattutto quelli che hanno carichi pesanti e recenti. Dal 2008 a oggi Equitalia ha gestito 6,5 milioni di istanze di rateizzazione, per un valore complessivo di oltre 116 miliardi di euro.
Anche se questi dati, come quelli della rottamazione, indicano una miglior inclinazione degli italiani all’assolvimento dei debiti fiscali, la strada per battere l’evasione è ancora lunga. E passa dalla modifica del rapporto tra il fisco e i contribuenti, e da una nuova spinta all’adesione spontanea, più che dalla riforma della riscossione.
Mario Sensini – Il Corriere della Sera – 7 aprile 2017