La Regione estenderà il monitoraggio sanitario sulla popolazione esposta ai Pfas anche ai lavoratori della Miteni in servizio, a quelli pensionati e anche ai dipendenti dell’indotto, manutentori e terzisti che operano nell’area dello stabilimento: in tutto 450 persone. E attiverà un tavolo di crisi per togliere l’alea del sospetto strisciante alle voci che si rincorrono sulla chiusura dell’industria e il trasferimento lontano da Trissino e dai 21 comuni tra Vicenza Verona e Padova la cui falda è stata inquinata dallo sversamento delle sostanze. Al tavolo, l’assessore al Lavoro Elena Donazzan metterà sindacati e azienda («La casa madre, non i dirigenti locali, indagati», si sono raccomandati i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil) per affrontare questioni come gli investimenti, il piano industriale, l’occupazione.
Temi che viaggiano insieme alla questione della salute ed è una notazione non secondaria «Noi lavoratori e sindacati siamo tra l’incudine e il martello – hanno spiegato – Da una parte siamo esposti alle sostanze, dall’altra alcuni comitati ci vedono come inquinatori e complici». Gli operai Miteni ieri hanno scioperato (adesione al 70%, il resto era al lavoro per garantire le procedure di sicurezza come da legge Seveso), sono andati in manifestazione a Venezia e sono stati ricevuti dagli assessori Donazzan, Luca Coletto (Sanità) e Gianpaolo Bottacin (Ambiente) e dal presidente del consiglio Regionale Roberto Ciambetti. Sono preoccupati perché rischiano insieme il posto e la salute: i prelievi che ha effettuato il servizio epidemiologico regionale hanno evidenziato che nel loro organismo ci sono le concentrazioni di Pfas e Pfoa più alte mai viste al mondo, fino a 91.900 nanogrammi per grammo di sangue. Il monitoraggio sulla salute dei dipendenti per legge spetta all’azienda ma è anche vero, come ha rilevato Coletto, la Regione non sa quali metodologie di indagine usa Miteni né se i dati forniti dall’azienda siano comparabili con quelli che sta raccogliendo in proprio e quindi ha deciso di estendere la sorveglianza sanitaria anche ai lavoratori. Con un escamotage: sono tutti residenti nella zona Pfas, «La Terra dei Fuochi del Veneto», come la chiama Coletto, e quindi saranno monitorati come cittadini. Lo farà anche se lo Stato non ha ancora versato gli 80 milioni promessi e il monitoraggio è una cosa immensa che, oltre ai residenti, interessa anche le produzioni agricole e zootecniche. Il dato riferito dall’assessore Bottacin sulla quantità di Pfas immessi nelle acque è impressionante: da quando alla Miteni è stato imposto di trattare le acque, da due milioni e 200mila metri cubi sono stati estratti 50 chili di Pfas. L’altra misura di tutela è quella dei filtri installati negli acquedotti, modelli testati in Ohio. Il conto dell’affare Pfas è salato: 100 milioni necessari per gli aspetti sanitari, 260 milioni per l’allacciamento ad altri reti idriche, 200 milioni per gli interventi in agricoltura: l’Arpav ha già speso 5 milioni per i campionamenti, più le risorse per l’acquisto di apparecchiature specifiche.
Corriere del Veneto – 29 marzo 2017