Ci sono un italiano, un inglese, un tedesco e un francese e si scopre che le differenze tra di loro, se si parla di rapporto con il cibo, non sono più tante. Fine della possibile barzelletta, inizio di una illuminante ricerca internazionale, condotta da Doxa per l’Unione italiana food, capace di cancellare gli stereotipi che vorrebbero distanze siderali tra quel che mettono nel piatto gli italiani e gli inglesi, o tra il tempo passato ai fornelli dai francesi gourmand e dai tedeschi consumatori di crauti e salsicce.
L’indagine è stata condotta su un campione rappresentativo di 2.800 adulti dai 18 ai 64 anni e ha messo a confronto il rapporto con il cibo degli italiani rispetto ai consumatori di Francia, Germania e Regno Unito, i tre Paesi che da soli assorbono il 36 per cento del nostro export alimentare. Le differenze tra tradizioni gastronomiche tanto diverse sembrano essere quasi annullate, così che nel tempo complessivamente dedicato all’alimentazione, la quota destinata alla preparazione è simile per inglesi (45 per cento), tedeschi (44 per cento) e francesi (47 per cento) ed è scomparsa la massaia nostrana costretta a spignattare per tutta la famiglia (34 per cento per gli italiani). «Questi dati non mi sorprendono — commenta Roberta Sassatelli, docente di sociologia dei consumi alla Statale di Milano — Se le stesse domande fossero state poste alla fine degli anni ’80 avremmo avuto risultati molto diversi, ma le culture alimentari si stanno uniformando per effetto del mercato comune e di una mutata cultura di genere. Noi italiani ci siamo avvicinati al Nord Europa per la percentuale di donne lavoratrici, mentre inglesi, francesi e tedeschi hanno mutuato da noi l’abitudine al cibo come socializzazione».
L’uniformità di cui parla la sociologa Sassatelli è evidente nel tempo dedicato al fare la spesa nei quattro Paesi (dal 30 al 27 per cento) e in quello trascorso a tavola con gli amici (21 per cento nel Regno Unito, il valore più basso, 28 per cento per italiani e francesi, 24 per i tedeschi), mentre è degno di nota l’impegno degli italiani per informarsi su ciò che mangiano. I risultati di questo impegno si incrociano con la soddisfazione: francesi e tedeschi sono spesso molto soddisfatti di come mangiano, ma gli italiani nel 75 per cento lo sono «abbastanza» e la cucina inglese conferma le sue pecche con quell’1 per cento di insoddisfatti. «Le differenze in alcune voci, come il tempo dedicato alla spesa, — spiega l’esperta — dipendono dalla distribuzione. Inoltre, il minor tempo passato in cucina corrisponde in Italia alla disponibilità di semilavorati come formaggi e prodotti freschi di qualità».
Le risposte alla domanda «Cosa è il cibo per te?» sono abbastanza uniformi, ma confermano la nostra attenzione alla qualità, tanto che il valore più basso dell’Italia in ogni voce è comunque più alto degli altri. Se si avvicinano le percentuali tra quanti ritengono il cibo un piacere, gli italiani si distinguono per attenzione alla sicurezza alimentare e all’accesso al cibo garantito per tutti. «Tutte le voci — osserva Sassatelli — confermano che per noi il cibo ha valore etico e politico, l’italiano mangia con la pancia e con la testa. Così, anche se riduce i tempi per la preparazione dei pasti, impiega di più a leggere etichette, libri o informarsi su Internet e porta comunque in tavola un prodotto di qualità».
Repubblica – 28 marzo 2017