Dopo la cimice, dall’Asia è in arrivo una nuova minaccia per gli agricoltori veneti. Stavolta sono gli apicoltori ad essere sotto attacco, perché nelle campagne di Bergantino, in provincia di Rovigo, è appena sbarcata la temutissima Vespa velutina e il timore è che si diffonda velocemente nelle province vicine.
La Vespa velutina, nota anche come calabrone a zampe gialle, è un animale originario dell’Asia sud-orientale, comparso in Europa nel 2004, probabilmente introdotto con merci di origine cinese. Dopo il primo rilevamento in Francia, si è diffusa in pochi anni in Europa, penetrando in Belgio, Spagna, Portogallo, Germania e infine in Italia, dove è sbarcata in Liguria dal confine francese. In Francia, a causa della Vespa velutina, sono state segnalate perdite degli alveari che arrivano fino al 50%. Il calabrone asiatico è infatti un efficientissimo cacciatore di api. Le cattura davanti agli alveari e le uccide per nutrire le numerose larve presenti nei suoi nidi. A differenza dell’ape asiatica (Apis cerana), la nostra ape (Apis mellifera ligustica) non riesce a difendersi adeguatamente. Quando questo predatore tiene sotto assedio gli alveari, le api smettono di uscire per raccogliere il cibo (nettare e polline) necessario per nutrire la famiglia. Di conseguenza la colonia si indebolisce pericolosamente.
Per evitare la diffusione dell’insetto, la Regione Veneto distribuirà entro breve tempo un massiccio numero di trappole in tutto il territorio regionale. In Veneto si stima la presenza di 60.000 alveari, con una produzione di oltre 2.000 tonnellate di miele di cui il 50% di acacia, il 20% di millefiori, il 15% di castagno e il 15% di altri mieli come il tiglio, il tarassaco, la melata di abete, la barena e piccolissime quantità di rododendro. Alta la produzione di polline, propoli, pappa reale e cera d’api.
«Siamo molto preoccupati per questa nuova minaccia», dice Francesco Bortot, portavoce degli apicoltori di Confagricoltura Veneto, «perché in Francia i nostri colleghi hanno visto distrutti, in pochi anni, tutti gli alveari e sono stati costretti ad andarsene in cerca di posti indenni dalle vespe. Solo nel Montello, nel periodo di fioritura dell’acacia, abbiamo 20.000 alveari, con una produzione di 30 chili di miele per alveare, ma tutto il territorio veneto, dall’Altopiano di Asiago alle Dolomiti bellunesi, dalla Lessinia veronese ai Colli Euganei nel Padovano, pullula di alveari. È importantissimo, dunque, fermare subito questo dannosissimo insetto prima che metta a repentaglio un’importante fonte di reddito per gli agricoltori. Noi abbiamo già iniziato a mettere un po’ di esche in maniera preventiva».
Nel Padovano, a Conselve, l’Apat, l’associazione che raccoglie gli apicoltori del Veneto, ha organizzato il 19 marzo un convegno proprio sul temibile calabrone asiatico: «A Bergantino, verso il centro abitato, è stata trovata un’enorme colonia, su un carpino, a circa otto metri di altezza», spiega il presidente Stefano Dal Colle. «Nel nido, che ha dimensioni eccezionali (70 per 40 centimetri circa), sono state trovate molte larve di calabrone non sfarfallate. Le regine fuoriuscite molto probabilmente stanno svernando nell’area. In aprile cominceranno a creare i nidi e ad allevare le operaie. In poco tempo le famiglie si ingrandiranno e prolifereranno su tutto il territorio. È fondamentale, perciò, che la Regione Veneto distribuisca entro aprile le trappole su tutto il territorio, perché dopo può essere tardi».
L’ape non è importante solo per il miele, ma anche perché è il principale insetto impollinatore. Dalla sua sopravvivenza dipende la capacità riproduttiva di almeno 130.000 specie di piante. Oltre alle api – che rappresentano l’80% della dieta proteica delle larve di Vespa velutina in ambiente urbano e il 45-50% in ambiente rurale – il calabrone preda anche altri importanti impollinatori (come bombi, megachilidi e farfalle). Danni secondari, ma non trascurabili, sono quelli ai frutti maturi, prediletti dagli esemplari adulti di velutina. Infine, il calabrone è pericoloso anche per l’uomo. In prossimità dei nidi il suo attacco può essere violento: 8-12 punture possono provocare un avvelenamento che richiede il ricovero in ospedale.
Fonte Confagricoltura – 27 marzo 2017