«È un intervento a gamba tesa della vecchia politica: vogliono trasformare i parchi in un pensionato per notabili a fine carriera. E il sistema è semplice: basta far saltare le competenze tecnico-scientifiche e il gioco è fatto. Fuori i naturalisti, fuori i biologi, fuori gli esperti, dentro chi è pronto a tutto pur di non scontentare i potentati locali». È dura l’accusa di Francesco Mezzatesta, l’ex segretario Lipu che è stato tra i protagonisti della battaglia per la legge quadro sui parchi.
Oggi quella legge, la 394, porta i suoi 26 anni con qualche ruga. I parchi hanno perso un po’ di slancio. Hanno giocato bene in difesa: quando erano assediati dal cemento si sono validamente difesi. Ma adesso bisognerebbe passare all’attacco: fare della natura protetta il motore di un’economia leggera, a basso impatto ambientale. Dunque una riforma sarebbe opportuna, ma quella che lunedì sarà discussa dall’aula di Montecitorio ha suscitato una rivolta nel mondo ecologista. «È una pietra tombale sulla natura italiana», protesta Fulco Pratesi, presidente onorario del Wwf. «I parchi danno fastidio perché costituiscono una barriera contro gli interessi delle lobby locali pronte a dare il via libera a un albergo in zona franosa o a trasformare un sentiero in pista da motocross in cambio di un pugno di voti».
Al centro delle polemiche c’è la governance dei parchi. Le associazioni ambientaliste chiedevano parametri più rigorosi per la nomina dei presidenti. È avvenuto l’opposto. I presidenti continuano a essere di nomina esclusivamente politica e s’indebolisce la figura chiave del direttore: oggi è scelto all’interno di un albo riservato a figure rappresentative della difesa della natura; con la riforma l’obbligo di competenze naturalistiche salterebbe.
«Il direttore verrebbe eletto dal presidente del parco su proposta di una commissione a maggioranza indicata dallo stesso ente parco: sarebbe invece più corretto un concorso con un vincitore secco eletto per titoli», osserva Antonio Nicoletti, responsabile Legambiente per le aree protette. «Quanto al presidente, la riforma prevede di escludere i parchi dalla legge Severino: così potrebbe essere eletto anche un parlamentare in quiescenza, cioè con il vitalizio. Peccato, perché la legge è stata migliorata durante il passaggio in commissione Ambiente».
Se a questi punti aggiungiamo la mancata creazione del parco nazionale del Delta del Po, si ottiene il quadro degli elementi che hanno scatenato la protesta. La valutazione però non è unanime. Federparchi appoggia la norma sottolineando gli aspetti positivi: 10 milioni di risorse finanziarie; un piano triennale che include i parchi regionali e le aree marine protette; il rafforzamento delle sanzioni contro gli abusi; la conferenza triennale sulla Natura dell’Italia.
«Sul profilo ambientale delle persone che assumono la guida dei parchi serve una modifica del testo che spero passerà nel voto in aula», afferma Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente di Montecitorio. «Ma io difendo questa legge. I sindaci non sono per definizione un nemico: bisogna creare un dialogo. Inoltre viene introdotto il divieto di trivellazione e di eliski ed è stato eliminato l’emendamento che aumentava la pressione della caccia nelle aree contigue ai parchi». Resta però irrisolto il nodo della governance. Da lunedì toccherà al Parlamento decidere.
Repubblica – 25 marzo 2017