La legge di riforma della responsabilità sanitaria (legge 24 dell’8 marzo 2017, pubblicata nella Gazzetta ufficiale 64 di venerdì scorso) avrà ripercussioni sulla disciplina della colpa in sanità, tanto per le regole dell’imputazione civile e penale dell’errore clinico, quanto sotto il profilo della gestione dei flussi economici destinati al risarcimento dei danni. Molte cose sono destinate a cambiare anche sotto il profilo della struttura del processo civile, che avrà una evoluzione del tutto nuova dal punto di vista del danneggiato, ma anche per i soggetti chiamati a rispondere dei danni causati dall’errore clinico.
Il doppio binario
La legge impone, innanzitutto, una scelta di tipo “strategico” al legale che assisterà il paziente, vittima presunta dell’errore medico, nella scelta dei soggetti passivi verso i quali rivolgere la propria azione legale. Infatti l’articolo 7 pone un “doppio binario” tra la natura della responsabilità dell’operatore sanitario (di tipo extracontrattuale) e quella della struttura (contrattuale) e tale distinzione incide anche sul contenuto della prova da offrire in giudizio. Da un lato la responsabilità contrattuale agevola l’onere della prova dell’attore danneggiato, che potrà limitarsi a eccepire l’inadempimento dell’azienda e il danno conseguito; dall’altro, invece, la responsabilità extracontrattuale, in base all’articolo 2043 del Codice civile, invocata contro il medico operatore “intramoenia”, comporterà la necessità di provare anche la colpa specifica del sanitario, oltre alla connessione causale diretta tra errore e danno procurato, a pena di reiezione della domanda nei suoi confronti.
L’azione verso la sola struttura sanitaria, pertanto, si presenta, da un lato, come più agevole per la parte lesa (anche per effetto del regime prescrizionale più lungo di dieci anni), ma, dall’altro, la citazione anche del sanitario permetterà una maggiore estensione della platea dei soggetti passivi e, al tempo stesso, delle coperture assicurative rese disponibili per il risarcimento del danno.
La procedura
La legge pone anche non pochi vincoli di natura processuale nella fase antecedente l’introduzione del giudizio avanti alla autorità giudiziaria. Innanzitutto, il danneggiato avrà l’onere di esperire un tentativo di conciliazione – alternativo alla mediazione – prima di avviare il contenzioso giudiziale (si veda l’articolo pubblicato a fianco). Se l’accordo non viene raggiunto, l’avvocato della vittima dovrà introdurre, entro 90 giorni, il giudizio risarcitorio vero e proprio con il rito sommario di cognizione previsto dall’articolo 702-bis del Codice di procedura civile, che consente una trattazione accelerata delle carte giudiziali e una più celere decisione.
Per facilitare la soluzione immediata della controversia, l’articolo 12 della riforma consente alla vittima di citare in giudizio direttamente l’assicuratore chiamato a garantire il responsabile, sia esso un’azienda sanitaria pubblica o privata, o un operatore sanitario che agisca in regime libero professionale. Questa facoltà, che si ispira all’analogo diritto concesso dalla disciplina della responsabilità civile auto, ha il duplice scopo di rendere palese fin da subito la garanzia patrimoniale che fornirà la provvista economica utile al risarcimento del danno e di alleggerire la posizione dell’assicurato che vedrà – in ipotesi di riconoscimento di responsabilità – l’immediata condanna dell’assicuratore con salvezza del proprio patrimonio.
La partecipazione dell’assicuratore, fin dalla prima istanza, all’azione risarcitoria è rafforzata dall’obbligo per la compagnia garante di istruire il sinistro sanitario con particolare solerzia, dato che è previsto nell’ambito della conciliazione l’obbligo (sanzionabile se disatteso) di formulare al paziente-attore un’offerta di risarcimento del danno o di comunicare i motivi per i quali non si ritiene sussista un obbligo risarcitorio.
La legge impone, inoltre, che nel giudizio promosso contro l’assicuratore della struttura o del medico libero professionista siano chiamati in causa anche gli assicurati (quali litisconsorti obbligatori, dunque) al fine di ottenere una condanna solidale al risarcimento dei danni.
L’azione di rivalsa
L’articolo 9 della legge delimita in modo significativo l’azione di rivalsa che, sino ad oggi, consentiva sempre alle strutture sanitarie (o al loro assicuratore) di riversare sui medici, dipendenti e non, le conseguenze del proprio errore.
Con le limitazioni dell’articolo 9, invece, l’azione di rivalsa potrà essere svolta solo in caso di dolo e colpa grave del sanitario e comunque solo dopo che l’azienda abbia provveduto a risarcire il danno su sentenza o con accordo transattivo.
La rivalsa contro l’operatore sanitario – salva l’ipotesi che sia stato chiamato in giudizio assieme alla struttura – opera anche con un limite economico: il medico non potrà essere condannato oltre il triplo del proprio reddito lordo annuale. (vai alla fonte)
Filippo Martini – Il Sole 24 Ore – 20 marzo 2017