I pezzi del puzzle del nuovo welfare sono stati buttati sul tavolo ma non tutti sono già stati incastrati al posto giusto. Così il bonus “Mamma domani” attende l’ultima circolare, il reddito di inclusione per combattere la povertà aspetta i micidiali decreti attuativi, lo Statuto del lavoro autonomo è imprigionato nella navetta tra Camera e Senato del nostro bicameralismo perfetto. I nuovi soggetti del welfare — ai quali l’antica stagione delle tutele a favore del lavoratore maschio adulto, con il posto fisso nella grande impresa, non concedeva nulla perché prima c’era lo stipendio del capofamiglia poi la sua pensione — devono continuare ad attendere. Resta in salita la strada per mamme lavoratrici, giovani professionisti, lavoratori flessibili con occupazioni discontinue. E i bonus, da quello per i bebè a quello per i diciottenni, non bastano a ringiovanire lo stato sociale. «Certo, meglio di niente», osserva Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil. «Ma — aggiunge — servono politiche strutturali per non ricercare ogni anno le risorse necessarie al finanziamento».
Perché questa è una storia innanzitutto di risorse, nonostante — dati Eurostat — la nostra spesa sociale rappresenti circa il 30% del Pil, più della Svezia. Disperdiamo risorse nei rivoli incontrollati dell’assistenza (o assistenzialismo) e le concentriamo per quasi il 16% del Pil nella previdenza, cardine del rigido modello di welfare ai tempi del lavoro stabile. In ogni caso dobbiamo fare i conti con il progressivo invecchiamento della popolazione, processo che sempre più chiederà finanziamenti per la spesa di cura, con la scarsità delle nascite, con un tasso di occupazione che rimane sotto l’asticella del 60%. Poi c’è quell’enorme debito pubblico (132 % del Pil) che ci paralizza ormai da decenni. E con poche risorse o con risorse spese male i “buchi del welfare” si allargano.
L’INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE
Chi perde il lavoro, con i cui contributi si continua a finanziare buona parte degli interventi, oggi ha diritto a una indennità pari a circa 800 euro per un massimo di due anni in relazione ai versamenti che sono stati effettuati negli ultimi quattro anni. Si tratta di una misura universale, vuol dire che vale per tutti indipendentemente dal settore da cui si proviene o dall’area geografica. Il punto è che chi non ha più lavoro dovrebbe essere ricollocato, attraverso un percorso, se necessario, di riqualificazione e formazione. E qui cominciano i guai.
L’ASSEGNO DI RICOLLOCAZIONE
Dopo un ritardo di mesi è partito da qualche giorno il progetto per l’assegno di ricollocazione, da 250 euro a 5mila in rapporto alle difficoltà di trovare una nuova occupazione. L’assegno va all’agenzia che ricolloca il lavoratore entro sei mesi. Riguarderà inizialmente 30mila persone. Chi non accetterà il nuovo impiego perderà l’indennità di disoccupazione (la Naspi). Le politiche attive per il lavoro sono da sempre il nostro tallone d’Achille e soprattutto non sono uguali in tutto il territorio per via della competenza regionale. Siamo ancora alla sperimentazione.
IL REDDITO DI INCLUSIONE
E di tempo ce ne vorrà anche per la prima misura per combattere la povertà, in un Paese che ormai registra 4,6 milioni di poveri. Eravamo uno dei pochi Paesi europei a non avere uno strumento per i più poveri. Sono stati stanziati circa due miliardi (ce ne vorrebbero almeno sette) che permetteranno (quando la norma sarà applicata) un sostegno a circa 400mila famiglie povere con minori. In tutto 1,7 milioni di persone. Ma servono i decreti attuativi.
IL JOBS ACT PER GLI AUTONOMI
Deve aspettare pure lo Statuto per il lavoro autonomo: congedo di maternità e di paternità, tutele in caso di malattia o infortunio, aggiornamento e formazione. E poi una serie di garanzie nel rapporto con i committenti. Uno sforzo innovativo, anche culturale, che però da più di un anno viaggia in Parlamento.
LA DIS-COLL
I collaboratori un po’ ci sono ancora, sia nel privato sia nella pubblica amministrazione, circa 3-400mila. Fino a giugno (grazie all’ultimo decreto Milleproroghe) coloro che perderanno il lavoro potranno ricevere la specifica indennità di disoccupazione sotto forma di una tantum. Poi si vedrà.
Dunque si prova a ridisegnare il welfare. Ma lo si fa nell’incertezza, dovuta alla carenza finanziaria e anche a procedimenti legislativi e amministrativi farraginosi. Un modo per arrivare in ritardo all’appuntamento con i cambiamenti.
Repubblica – 20 marzo 2017