La legge 8 marzo 2017 n. 24 («Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie») è stata pubblicata ieri sulla Gazzetta. La piena applicabilità, a regime, sarà raggiunta solo con l’emanazione dei molti decreti attuativi previsti, ma numerose e di sostanza sono le norme immediatamente applicabili. Di queste, le principali portano sin da subito (la legge entrerà in vigore tra 15 giorni) a modifiche sostanziali soprattutto per operatori sanitari e strutture.
L’articolo 4, ad esempio, obbliga le aziende sanitarie a fornire ai diretti interessati, nel rispetto del dovere di trasparenza pure richiamato, entro sette giorni dalla richiesta, la documentazione sanitaria disponibile e relativa alla vicenda clinica che ha coinvolto il paziente. Le eventuali integrazioni documentali non potranno essere fornite oltre il trentesimo giorno dalla presentazione della richiesta.
Certamente, però, le norme di maggiore impatto sono quelle contenute negli articoli 6 e 7 che disciplinano, la prima, una ipotesi di non punibilità del medico per imperizia qualora lo stesso abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali.
Quanto, invece, all’articolo 7, la novella introduce quello che è già stato ribattezzato il «doppio binario» della responsabilità civile, ponendo da un lato la natura contrattuale del vincolo tra azienda sanitaria e paziente e, dall’altro, la natura extracontrattuale della responsabilità imputabile in ipotesi all’operatore dipendente o comunque inquadrato nella struttura, salva l’ipotesi che lo stesso medico abbia assunto contrattualmente un impegno con il proprio cliente.
Questa distinzione determinerà uno sdoppiamento dei canoni dell’azione giudiziaria e della natura istruttoria dell’indagine sul piano civile tra medico e ospedale. Da un lato, infatti, l’onere della prova circa la natura illecita della condotta del medico e del rapporto causale col danno lamentato è posto, dalla natura extracontrattuale della responsabilità, a carico del paziente che agisca lamentando un danno. Nel contesto della responsabilità contrattuale della struttura, invece, l’onere della prova è invertito a favore del paziente che potrà limitarsi a dedurre in giudizio l’inadempimento qualificato e tecnico dell’ente ove fu curato. Né di minor conto è il regime della prescrizione del diritto al risarcimento che passa dai dieci anni (per la responsabilità contrattuale) ai cinque anni in caso di azione risarcitoria intentata contro il sanitario.
Altre norme poi sono di immediata applicazione e riguardano le nuove regole procedurali del giudizio risarcitorio intentato dal paziente. L’articolo 8, infatti, rende fin da subito obbligatorio prima di avviare una causa, l’esperimento di un tentativo di conciliazione giudiziale con lo strumento dell’Atp (Accertamento tecnico preventivo) nel quale un consulente medico nominato dal giudice valuterà i profili di responsabilità e di danno, invitando le parti a una conciliazione. L’attore, dunque, fin dai giudizi promossi dopo l’entrata in vigore della legge 24/2017, dovrà prima avviare questo tentativo (in alternativa alla mediazione già oggi obbligatoria), finalizzato alla composizione della lite e a evitare il possibile contenzioso. Anche l’articolo 9 avrà impatto immediato, ponendo limiti all’azione di rivalsa contro il medico, tanto sul piano dei tempi (entro un anno dal pagamento del danno), quanto sul piano dell’entità massima di esposizione economica del sanitario (tre annualità retributive lorde). (Vai alla fonte)
Intermediachannel – da Il Sole 24 Ore – 19 marzo 2017