Un dettaglio spiega perché ci sia tanta attenzione all’Italia nella Commissione Ue: è il solo Paese, fra i più esposti, il cui debito pubblico sembra destinato a salire anche nel 2017. Quello del Portogallo per la prima volta ha superato il 130% del reddito nazionale nel 2016, ma quest’anno la Commissione lo vede in calo di oltre un punto e mezzo. Quello della Grecia, quasi doppio rispetto al reddito nazionale, quest’anno dovrebbe iniziare a scendere di due punti e mezzo.
Il caso italiano è diverso. Questo rimane il solo Paese altamente indebitato dell’area euro dove gli oneri continuano a salire più in fretta del reddito (con una previsione di 133,3% nel 2017). L’unico fattore che continua a ridursi sembra la credibilità degli impegni presi ai livelli più alti. Non solo per ragioni generiche: il calo del debito è nei programmi dei governi da una decina di anni, e da dieci si registrano aumenti. Ci sono anche ragioni specifiche, dato che entro aprile il governo dovrebbe adottare misure di riduzione del deficit da 3,4 miliardi richieste dalla Commissione.
Più passano i giorni, più si avvicinano le primarie del Partito democratico del 30 aprile, meno appare probabile che l’Italia mantenga l’impegno. Per lo meno, non nei tempi previsti e promessi dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Secondo le ultime indicazioni la stretta di bilancio potrebbe slittare ancora a dopo che il Pd avrà rieletto Matteo Renzi, o un altro segretario. Prima delle primarie del 30 aprile, a quanto pare, il governo si limiterebbe a delineare l’intervento con il Documento di economia e finanza il prossimo 10 aprile.
Non è quanto era stato concordato con Bruxelles. Tutto nasce in realtà dalla revisione di un altro impegno precedente dell’Italia, perché nel maggio scorso una lettera di Padoan alla Commissione Ue aveva formalizzato l’intento di portare il deficit all’1,8% del reddito nazionale entro quest’anno: solo con quella promessa l’Italia riuscì a evitare una sanzione per aver mancato altri impegni precedenti. Poi legge di Bilancio di ottobre scorso aveva fatto saltare anche quel piano, aggiungendo circa dieci miliardi di deficit sul 2017. Per questo in gennaio i commissari Ue Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici sono tornati a chiedere al governo una correzione di 3,4 miliardi – un terzo dell’eccesso di deficit – purché sia rapida e in tempi certi. Padoan il primo febbraio aveva risposto con ulteriori rassicurazioni in una ennesima lettera formale: il governo avrebbe «adottato» una manovra. Quando? «Come parte di una più ampia strategia da dettagliare nel Def». Il giorno dopo in senato, in un’aula semivuota, il ministro parlava di «misure da adottare al più tardi entro fine aprile, presumibilmente anche prima». E spiegava: «L’ipotesi di procedura per deficit eccessivo è estremamente allarmante», perché «comporterebbe una riduzione della sovranità e costi ben superiori per le finanze pubbliche a seguito del probabile aumento dei tassi».
Ora però posporre la manovra a dopo le primarie del Pd rende più difficile evitare proprio la procedura che Padoan teme tanto. Non solo perché a Bruxelles è palpabile l’irritazione per l’ipotesi di un ulteriore revisione dei patti. C’è una ragione più precisa: le stime di deficit su cui si decide per la procedura sul deficit si baseranno, a Bruxelles, sui dati di bilancio conosciuti il 30 aprile. Non sulle promesse; sulle norme adottate per allora. L’Italia però rischia di arrivare a quell’appuntamento difesa solo da una serie di promesse, sempre formali e sempre disattese. Come se l’agenda di un candidato leader di un partito contasse più dell’impegno di uno Stato in una sede internazionale. (vai alla fonte)
Il Corriere della Sera – 17 marzo 2017