Ne abbiamo parlato pochi giorni fa, dopo l’ennesimo record negativo certificato dall’Istat. In Italia si fanno pochi figli. È anche una questione di soldi, oltre che di servizi che non ci sono oppure zoppicano. Parte da questa constatazione un disegno di legge targato Pd che potrebbe accelerare nelle prossime settimane e portare anche in Italia l’assegno universale per i figli. Funzionerebbe così: per ogni figlio a carico, cioè che non ha entrate proprie per mantenersi, lo Stato verserebbe una somma ai genitori: 200 euro al mese dalla nascita fino ai tre anni d’età; 150 euro al mese da tre fino ai 18 anni; 100 euro al mese da 18 fino ai 26 anni. Superata quell’età, fine dell’aiuto, anche se il figlio non è in grado di mantenersi da solo. La misura del sostegno dipenderebbe anche dalle condizioni della famiglia. L’assegno sarebbe «pieno», cioè con le cifre che abbiamo appena visto, per le famiglie fino a 30 mila euro di Isee. L’Isee è l’indicatore della situazione economica equivalente, il cosiddetto riccometro, che pesa non solo il reddito delle famiglie (lo stipendio o la pensione) ma anche il loro patrimonio, come le case o i risparmi. L’importo dell’assegno scenderebbe velocemente per le famiglie che hanno un Isee compreso tra 30 mila e 50 mila. Per poi azzerarsi superata quota 50 mila.
«Secondo le simulazioni fatte dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio parlamentare di Bilancio — dice il senatore pd Stefano Lepri, primo firmatario della proposta poi sottoscritta da 50 colleghi di partito — questo schema consentirebbe a due terzi delle famiglie con figli di avere tutto il beneficio, un altro 20% lo avrebbe ridotto e un ulteriore 15% resterebbe fuori». Come nella chimica, però, anche per il Fisco nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma. Il nuovo assegno universale non si aggiungerebbe alla misure di sostegno per i figli che ci sono già oggi. Ma ne prenderebbe il posto. Nel passaggio, tuttavia, sarebbero eliminati contraddizioni e paradossi che rendono il nostro attuale sistema poco efficace e anche ingiusto. Basta dire che oggi l’assegno familiare è previsto solo per i lavoratori dipendenti e i pensionati, mentre gli autonomi non hanno quasi nulla. Non solo. Le detrazioni sulle tasse per i familiari lasciano fuori i cosiddetti incapienti, cioè proprio chi avrebbe più bisogno perché guadagna meno di 8 mila euro lordi l’anno, non fa la dichiarazione dei redditi e quindi dalle tasse non può detrarre nulla. Il nuovo strumento, quindi, prenderebbe il posto di assegni familiari, detrazioni e bonus vari. Ma, almeno nelle intenzioni, dovrebbe contare su risorse un po’ più corpose: dai 16 miliardi di euro che si spendono adesso ogni anno dovremmo passare a 20, grazie a «ulteriori risparmi di spesa» ancora da individuare.
Se la cosa suona un po’ vaga è perché siamo ancora ai primi passi. La proposta è un cosiddetto disegno di legge delega: fissa i principi generali che in un secondo momento saranno definiti dal governo. Il testo è all’esame della commissione Finanze del Senato, domani si comincia a votare. In realtà è stato presentato oltre due anni fa. Ma negli ultimi giorni è arrivata un’accelerazione forse decisiva. L’altro giorno, nel suo discorso al Lingotto, la proposta è stata indicata come importante da Tommaso Nannicini, che sta scrivendo il programma delle primarie per Matteo Renzi. Un dettaglio. Ma anche il segnale di come il partito al governo voglia spingere sul tema. Magari per giocarselo nella prossima campagna elettorale: vorrebbe dire fare un passo nella legge di Bilancio, la vecchia Finanziaria da approvare entro fine anno.
Lorenzo Salvia – Il Corriere della Sera – 14 marzo 2017