Quando ordiniamo qualcosa in un fast food, sappiamo esattamente quello che stiamo ricevendo: un pasto economico con un ottimo sapore, probabilmente ricco di grassi, colesterolo e sodio. Secondo un rapporto pubblicato nella rivista Environmental Science and Technology Letters anche l’imballaggio in cui il cibo viene servito potrebbe avere un impatto negativo sulla salute.
Lo studio, condotto su oltre 400 prodotti di carta a contatto con gli alimenti prelevati da fast food in tutti gli Stati Uniti, ha rilevato la presenza di composti chimici fluorurati in un terzo degli imballaggi. Queste sostanze chimiche – denominate tecnicamente composti perfluoroalchilici ed indicati con la sigla PFAS – sono molecole artificiali che non esistono in natura e vengono utilizzate per le ottime proprietà di essere impermeabili ai grassi.
Oltre che nel settore food, i prodotti chimici fluorurati vengono utilizzati per resistere all’acqua, alle macchie e per le proprietà antiaderenti a prodotti come mobili, tappeti, attrezzature da giardino, indumenti, cosmetici e pentole antiaderenti. Il composto più noto del gruppo di PFAS, l’acido perfluoroottanoico (PFOA) è stato collegato a problemi renali, cancro ai testicoli, colesterolo elevato, diminuzione della fertilità, problemi alla tiroide e cambiamenti nel funzionamento ormonale, ma sono stati rilevati anche effetti avversi sullo sviluppo e diminuzione della risposta immunitaria nei bambini. Ulteriori studi hanno dimostrato che queste sostanze possono facilmente migrare dagli imballaggi alimentari nel cibo. Il grado di migrazione dipende dalla temperatura del cibo, dal tipo di alimento e dal tempo di contatto con il contenitore.
Nello studio le tipologie di imballaggio sono stati suddivise in sei categorie: carta a contatto con gli alimenti (involucri usati per panini e sacchetti di pasticceria), cartone destinato al contatto diretto con alimenti (scatole per patatine fritte o pizza), carta senza contatto (sacchetti esterni), bicchieri di carta, altri contenitori di bevande (lattine e contenitori succo) e vari (coperchi). I risultati peggiori sono stati rilevati nella carta a diretto contatto con gli alimenti con il 46% di tutti i campioni risultati positivi per il fluoro, seguita dai contenitori in cartone (20%) e da altri contenitori di bevande (16%). Invece, nelle carte non destinate al contatto diretto con alimenti, nei bicchieri di carta e nei coperchi tutti i risultati sono stati negativi.
“Nessuna sorpresa” sostiene Lynn M. Dyer, presidente del Foodservice Packaging Institute negli Stati Uniti. “Per il confezionamento nei fast food sono necessari imballaggi con un rivestimento barriera, e l’impiego di queste sostanze è normale”.
Il consumatore cosa può fare? “Una volta che si è scelto di mangiare in un ristorante fast food, può solo chiedere di avere un hamburger senza contenitore per evitare l’esposizione ai PFAS ” sostengono gli autori dello studio. “Purtroppo non c’è un modo semplice per capire se la confezione contiene composti chimici fluorurati.”
Altri rimedi risultano piuttosto drastici: “Le persone che desiderano ridurre l’esposizione possono estrarre l’alimento dalla confezione il più velocemente possibile. O ancora, chiedere che patatine fritte e dessert vengano serviti in un bicchiere di carta o in un sacchetto di carta , ovvero quello solitamente destinato al contatto non diretto con gli alimenti”.
Più di ogni altra cosa, gli autori dello studio invitano i consumatori a fare pressione sulle catene di fast food per chiedere di utilizzare materiali senza sostanze chimiche fluorurate. “Lo studio fornisce un motivo in più per sostenere che per la nostra salute conviene mangiare più cibo più fresco e pasti cucinati in casa ” dice Laurel Schaider, ricercatrice del Silent Spring Institute di Newton, Massachusetts tra gli autori dello studio, “Ma è difficile evitare la convenienza di un pranzo fast food, soprattutto quando si ha poco tempo per cucinare”.
La situazione dei contaminanti in carta e cartone è critica anche in Italia
Anche Altroconsumo, insieme a un gruppo di associazioni di consumatori europee, ha condotto uno studio simile, ricercando i PFAS negli imballaggi di carta e cartone usati dalle principali catene di fast food. Sono stati prelevati 65 imballaggi in 5 Paesi europei e la situazione è apparsa altrettanto preoccupante: in più della metà dei campioni prelevati sono presenti i PFAS, e in un terzo sono stati addirittura aggiunti intenzionalmente.
Uno degli aspetti più preoccupanti è la mancanza di una legge europea sulla composizione degli imballaggi di carta e cartone in relazione a questi contaminanti. Proprio poco tempo fa, come trattato da Il Fatto Alimentare, è balzata agli onori della cronaca la vicenda dell’inquinamento di PFAS da parte di un’azienda chimica localizzata in Veneto. C’è anche uno studio realizzato dal registro nascite della regione che mette in luce i danni alla salute, rilevati su donne incinte e neonati, causati dall’inquinamento delle acque da sostanze perfluoroalchiliche. Secondo il documento “emerge come siano stati evidenziati in particolare l’incremento del diabete gestazionale, dei nati con peso molto basso alla nascita, dei nati piccoli e di alcune malformazioni maggiori, tra cui anomalie del sistema nervoso, del sistema circolatorio e cromosomiche, pur osservando che le malformazioni sono eventi rari che necessitano di un arco temporale di valutazione più esteso per giungere a più sicure affermazioni”.
Il Fatto alimentare – 9 marzo 2017