Se Polluce rinunciò alla propria immortalità pur di salvare Castore morente in battaglia, c’è chi pensa ora che, vista l’aria che tira, anche in Regione si decideranno alla fine a rinunciare a qualcosa. La questione, miti a parte, appare urgente e concreta: di fronte al fatto che i consiglieri regionali del Veneto abbiano gli stipendi tra i più alti in Italia — 11.100 euro la paga lorda di un consigliere senza cariche; 13.500 quella di un assessore regionale; 13.800 quella del presidente della giunta; senza contare indennità di funzione e rimborsi spese, che spesso finiscono per disordinare le gerarchie —, la Regione ha deciso di istituire presso la Commissione Affari istituzionali un gruppo di lavoro che abbia il compito, appunto, di redigere una proposta di legge unitaria finalizzata al contenimento di indennità, rimborsi spese e vitalizi.
La notizia, come si sa, è dei giorni scorsi; ma la domanda che ci si fa oggi è: faranno sul serio? E che destino potrà avere una simile iniziativa?
Le proposte
Sul tavolo del «gruppo di lavoro», che è presieduto dal consigliere Marino Finozzi (Lega), ci sono sei diverse proposte di legge, che dovranno essere sintetizzate. Tutte, in modo differente, affrontano le tre facce del problema: le indennità dei consiglieri (non solo quella di base, ma anche quella di funzione, con in più i rimborsi spese); i vitalizi o le pensioni; e infine l’assegno di fine mandato. Tutte voci che rappresentano il costo complessivo del «politico» in regione. A dire il vero, andrebbe fatta subito una prima scrematura: una di queste, presentata dai consiglieri Zaia e Finco (quindi sempre dalla maggioranza) è una proposta di legge statale. Che chiede, generalmente, l’abolizione dei vitalizi e l’adesione al sistema contributivo dei consiglieri regionali e dei parlamentari. Altre due, entrambe presentate dal M5s, sono invece già state riunite in un’unica soltanto. Che rappresenta per altro la proposta più radicale, visto che propone l’abolizione tout court dell’assegno di vitalizio, della pensione, della reversibilità e dell’assegno di fine mandato; nonché la riduzione della indennità base da 6600 euro a 5000 euro.
Le altre sono quella del Pd (Fracasso e altri), che intende equiparare l’indennità dei consiglieri a quella del sindaco del capoluogo di Regione (si tratta di una differenza al ribasso di circa tre mila euro lordi); un’altra della maggioranza (Zaia e altri), che si limita all’«abolizione del regime dell’istituto di fine mandato»; e infine quella di iniziativa popolare, del gruppo «Zero privilegi».
Facendo il conto, dunque, sono sostanzialmente quattro.
Le prospettive
Nessuna di queste proposte verrà mai accolta integralmente. Fuori dai giochi pare subito la proposta di iniziativa popolare che non avrà praticamente alcuna possibilità di essere considerata. Sulle altre si discute. Certo, è ancora molto presto — il gruppo di lavoro si è appena insediato —, ma forse è già possibile indicare i punti di una ipotetica convergenza. Vediamo nel dettaglio le tre voci.
Per quanto riguarda il compenso, si partirà probabilmente dalla proposta del Pd: cioè l’equiparazione dell’indennità con quella del sindaco del capoluogo. Poi si ragionerà sulla modulazione dell’indennità di funzione. Questa verrà rivista, nell’ottica di un allargamento della forbice tra chi ha più responsabilità e chi ne ha meno. Infine, sui rimborsi, che attualmente sono considerati in modo forfettario (4500 euro al mese lordi) è plausibile che si consideri l’idea dell’introduzione di fasce chilometriche di distanza. «Io vorrei anche che si mettesse mano alle spese per le auto blu — chiosa l’ex Pd Piero Ruzzante —. È ora di dire basta a questi costi».
Più complessa la questione legata all’assegno di fine mandato, che oggi vale al massimo 80mila euro lordi (per due mandati). Difficilmente verrà eliminato: si tratta per altro di una cifra detratta dalla paga del consigliere. Ugualmente complessa è la situazione del vitalizio (1600 euro al mese): oggi vale il sistema contributivo per il quale, al 65esimo anno di età, si riceve una pensione parametrata ai contributi versati per almeno 4 anni e 6 mesi. Oggi è obbligatorio, plausibilmente verrà resto facoltativo e senza contributo della Regione (ciascuno in sostanza deciderà come investire i propri soldi nei fondi pensione).
I tempi
Ci sarà un risparmio quindi. Anche se bisognerà vedere di che portata. Pure qui la forbice potrebbe essere larga: si va dal massimo se verrà accolta la proposta dei grillini (Jacopo Berti: «Noi ce lo auguriamo — dice —. A noi interessa solo che si taglino i costi, si prendano pure le nostre idee»), ad un minimo, se si limeranno solo alcune cose. E i tempi? Ieri il presidente Finozzi è stato chiaro: «Ci raduneremo una volta ogni venti giorni, un mese — ci ha detto —. Dipenderà molto da quanto accadrà in Consiglio, ma contiamo di finire entro l’anno».
Ciambetti: «Leghiamo i salari a produttività e presenze molti di noi già se li meritano». Il presidente del Consiglio regionale: «I tagli? Li abbiamo già fatti»
«Quando spiego bene cosa significhi stare via anche due giorni di fila fuori regione, come ho fatto sabato e domenica scorsi, chi mi ascolta capisce che il mio lavoro non sia un divertimento. Io, per esempio, domani partirò alle sette di mattina da casa e, se tutto va bene, tornerò alle nove di sera».
Roberto Ciambetti, leghista, presidente del consiglio regionale, resta che i vostri stipendi siano tra i più alti d’Italia…
«Guardate al netto di quello che finisce nelle nostre tasche, non al lordo. Ci vuole correttezza nel parlare di questi temi. Perché non dite che stiamo rispettando una legge nazionale, quella voluta dal governo Monti, che ha introdotto il tetto lordo?».
Undicimila e cento euro di stipendio base per un consigliere. Lordi, certo. A molti però pare troppo lo stesso. Secondo lei quindi è una retribuzione adeguata?
«Il legislatore si occupa di cose delicate, la sua attività ha ricadute importanti sia in termini economici, che finanziari. È la Costituzione che dice che il legislatore deve avere un’indipendenza economica per non essere soggetto a tentazioni. Ci sono pressioni molto forti dall’esterno…».
Il punto è la proporzionalità della paga rispetto alle responsabilità…
«Ma scusi, e il sottoscritto che firma i contratti dei dipendenti o che porta in ufficio di presidenza delibere sull’organizzazione?»
D’accordo, ma i semplici consiglieri? Nei Comuni ci sono assessori che rischiano la galera per 900 euro al mese; mentre lo stesso non si può dire di chi siede a Palazzo Ferro Fini…
«Quando nel 2012 è stata fatta questa legge si vede che si era valutato che questo tipo di forbice, molto ristretta, tra semplici consiglieri regionali e presidente della Regione fosse adeguata».
Come presidente vedrà da vicino i suoi colleghi lavorare: concorderà che non tutti abbiano gli stessi carichi. Quindi come fare?
«C’è gente che è arrivata in Consiglio con migliaia di preferenze, che vuol dire che ha già fatto bene sul territorio. Qualcun altro, invece, è arrivato magari con meno preferenze, ma va più forte in aula. Secondo me occorre individuare un metro, un parametro, per misurare il lavoro di ciascun consigliere».
È un passaggio importante: vuole dire che sarebbe d’accordo, quindi, nel legare le indennità dei consiglieri alla loro produttività?
«Per chi fa questo lavoro in maniera totalizzante probabilmente la corresponsione attuale è già adeguata. Per chi lo fa in maniera più superficiale, cioè partecipa meno ai lavori, forse sì, andrebbe parametrata all’effettiva partecipazione a Venezia o sul territorio. Direi quindi produttività, ma anche presenza. Perché posso capire che un consigliere di minoranza possa non vedersi approvate tutte le leggi come uno di maggioranza; ma se uno è presente in Consiglio e fa interrogazioni mirate che non servano solo a riempire qualche paginetta di giornale, allora è diverso…».
La convince l’equiparazione delle indennità dei consiglieri con quella del sindaco del capoluogo?
«Non credo che comporti chissà quale risparmio. Per altro, come detto, il legislatore ha compiti diversi. Vedo meglio piuttosto il confronto con il legislatore nazionale».
Assegno di fine mandato e vitalizio, li terrebbe entrambi?
«L’assegno esiste ovunque, anche nel parlamento europeo. Da noi è pure limitato ai due mandati. Mentre per quanto riguarda il vitalizio siamo passati al sistema contributivo, come previsto dalla legge Monti, che ha il suo equilibrio. Dobbiamo pensare che ritornare alla vita precedente possa anche comportare qualche problema. E da quanto so almeno 40 consiglieri su 50 sono in aspettativa dalle vecchie occupazioni».
Quanto si aspetta che venga tagliato quindi dal lavoro della Commissione?
«Sia chiaro, non è che possiamo fare chissà quali passaggi epocali. Quando si poteva risparmiare qualcosa lo si è fatto. Anche guardando il costo degli altri consigli regionali non è che stiamo sfigurando, anzi. Insomma, non mi aspetto numeri importanti. Magari qualche segnale, ma non ai livelli di quello che abbiamo già fatto negli anni scorsi. Oltre un certo limite non si può andare».
Ha accennato alle altre Regioni. Emilia e Lombardia, però, hanno stipendi più bassi dei vostri…
«Dovrebbe vedere se nei siti delle altre Regioni gli stipendi siano chiari come da noi. Perché ripeto il lordo è una cosa, il netto è un’altra».
Voi leghisti vi rappresentate da sempre come partito anti-casta. Non è che su questo tema, adesso, rischiate di essere superati dai grillini?
«Non so se ci sia questo pericolo. Vogliamo ricordare il referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre? La riduzione degli emolumenti dei consiglieri regionali era sventolata come una bandiera: mi pare non sia servita a molto. Il tema, ripeto, andrebbe posto in maniera corretta. Andrebbe spiegato, per esempio, che l’anno scorso abbiamo fatto oltre 70 sedute in consiglio regionale. Per cui sono convinto che l’assemblea del Veneto alla fine stia interpretando al meglio il ruolo di buona amministrazione».
Il Corriere del Veneto – 7 marzo 2017