Una dote contributiva a vita, che sarà assegnata al momento della prima assunzione, e che il dipendente potrà portarsi dietro durante tutto l’arco della propria attività anche nel caso di cambio di lavoro. È questo il piano al quale sta lavorando il governo e dovrebbe consentire di voltare pagina dopo l’esperienza della decontribuzione triennale, scattata nel 2015 e oggi in via di esaurimento.
L’operazione fa perno sulla riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, cioè la differenza tra costo del lavoro e netto in busta paga che viene “mangiata” dai contributi: un fenomeno che in Italia incide più che in tutti paesi dell’Ocse. Tra le tante versioni in campo quella che sta guadagnando terreno prevede un taglio dei contributi previdenziali, spalmato sia sul la parte del lavoratore (circa 9 per cento) sia su quella del datore di lavoro (circa 24 per cento), di complessivi 4-5 punti. La misura aumenterebbe il netto in busta paga e ridurrebbe i costi per l’azienda: il costo, secondo fonti del governo, sarebbe di 3-4 miliardi e dunque molto meno di quanto ha pesato sui conti pubblici l’operazione decontribuzione triennale. Il peso delle risorse necessarie non graverebbe, nelle intenzioni del governo, sull’Inps e dunque sulla previdenza, ma sarebbe “fiscalizzato” cioè finanziato con il bilancio dello Stato.
La manovra sarebbe strutturale, cioè il taglio sarebbe definitivo e sarebbe accompagnato da un timing preciso, che darebbe sicurezza alle imprese. L’idea è quella di partire dal 2018, inserendo il provvedimento nella prossima legge di Bilancio, e di limitare l’intervento ai giovani nuovi assunti a tempo indeterminato, considerando che si tratta della fascia più penalizzata dalla disoccupazione. In seguito, secondo un calendario prestabilito, la platea dei beneficiari potrebbe essere elevata e contestualmente ridotto lo sconto sull’aliquota contributiva.
L’operazione-cuneo si salderebbe ad altre misure già assunte sul costo del lavoro dal governo Renzi, come il taglio delle aliquote Ires in vigore da quest’anno e il taglio del costo del lavoro sull’Irap, e potrebbe coincidere anche con una riforma del celebre bonus Renzi di 80 euro. Quest’ultima misura, oggetto di dibattito la scorsa settimana, ha mostrato la corda: gli scalini in basso e il alto della fascia dei fruitori (tra gli 8.000 e il 24-26 mila) hanno costretto i contribuenti a restituzioni e rincorse oltre al fatto che non sono state previste differenziazioni tra famiglie monoreddito e bireddito. Anche in questo caso si stanno studiando ipotesi alternative che potrebbero far perno sull’Irpef o sulla stessa aliquota contributiva a carico dei lavoratori.
Le reazioni dopo l’annuncio di Gentiloni sono positive a partire dall’ex premier Renzi che ha “promosso” l’idea del suo successore, mentre il sottosegretario al Tesoro Baretta ha parlato di “strada giusta”. Sul percorso del governo pende tuttavia ancora il dossier-manovra bis al quale si lavora su un orizzonte temporale affiancato al Def (previsto entro il 10 aprile). Mentre sull’intervento per contenere le spese c’è ormai consenso sulla necessità di recuperare circa 850 milioni, sul fronte della tasse (1,5 miliardi) la partita è ancora aperta: sulle accise-benzina pesa un veto del Pd, le sigarette sono in bilico, mentre ci sono in campo almeno tre proposte sui giochi che non decollano. Più sicuro invece l’intervento sulla lotta all’evasione (circa 1 miliardo) che farà perno sullo split payment (lo Stato trattiene l’Iva dei propri fornitori): proprio ieri i dati del Mef sulle entrate del 2016 hanno confermato il buon andamento dello strumento che ha sostenuto il gettito Iva per 6 miliardi (5,5 per cento in più).
Repubblica – 7 marzo 2017