Trecento persone in piazza per difendere il «loro» ospedale, ieri mattina ad Adria. Nel 2017. Un salto indietro di vent’anni, quando la gente alzava le barricate e faceva le notti all’addiaccio per impedire la chiusura dell’ospedale sotto casa. E’ successo a Malo, a Cavarzere, a Montagnana, a Conselve, al Lido, a Padova per il Geriatrico, a Chioggia, a Badia, Auronzo, Soave e a Caprino, solo per rispolverare qualche ricordo.
E’ l’effetto della riforma della sanità veneta, che dal primo gennaio scorso ha ridotto le Usl da 21 a 9, per snellire la burocrazia e risparmiare 90 milioni di euro l’anno, ma ai cittadini, aizzati dalla politica, il cambiamento fa paura. E allora tutti in corteo, sindacati, lavoratori e sindaci di Adria, Taglio di Po, Porto Tolle, Rosolina, Ariano e Pettorazza in testa, con bandiere, striscioni e megafono a strillare «attenzione» a un’operazione, la fusione tra le Usl di Adria e Rovigo nell’azienda 5 Polesana, che rischia di far saltare 87 posti di lavoro. Sono quelli dei dipendenti di cooperative e agenzie interinali che forniscono all’ospedale i servizi di cucina (25), centro cottura (4), punto di accoglienza (7), rifiuti ospedalieri (11) e pulizie (40).
«I contratti sono in scadenza fra il 31 marzo e il 31 dicembre — spiega Diego Marcomini della Cisl — e non sarà l’Usl a rinnovarli bensì l’Azienda Zero, il nuovo organo di coordinamento amministrativo di Palazzo Balbi, che indirà le gare su base regionale, non trattando più a livello provinciale. Già dal primo aprile, quando le cucine ospedaliere chiuderanno per lasciare il posto a cibi precotti e non più a chilometro zero e quindi di minore qualità, rischiano di restare a spasso soprattutto donne. Molte delle quali con il marito disoccupato o in cassa integrazione, che lavorano 15 ore a settimana per 500/600 euro al mese». «Quando c’è una fusione quasi sempre si perdono posti di lavoro — tuona Massimo Barbujani, primo cittadino di Adria e motore della protesta, alla quale ha dato voce anche portando megafono e impianto stereo propri — eppure solo io e il consigliere Omar Barbierato abbiamo votato contro. Gli altri partiti, Pd e M5S compresi, si sono espressi a favore e ora si presentano al corteo con le loro bandiere, così come le civiche, e non le ripongono nemmeno su mia precisa sollecitazione. Eppure è chiaro che dev’essere bipartisan il messaggio da lanciare alla Regione: vogliamo essere ascoltati e difesi. Questo è un territorio in crisi dal punto di vista occupazionale, non ci sono fabbriche, ci hanno tolto il tribunale, se ora ci attaccano pure sull’ospedale, affondiamo». Barbujani ha chiesto la clausola di salvaguardia per i lavoratori in ballo e in più, mai si sa, ha esortato l’assessore regionale al Lavoro, Elena Donazzan, a garantire gli ammortizzatori sociali a chi dovesse restare a piedi.
Sul polo sanitario in sé la protesta è «preventiva»: non si tocca almeno fino al 2018, quando scadranno le schede ospedaliere. «Non c’è nessuna chiusura nè impoverimento dei servizi — ripete come un mantra da settimane il paziente direttore generale Antonio Compostella — anzi, abbiamo finanziato il rifacimento del Pronto Soccorso con 3,5 milioni di euro e il completamento della palazzina servizi con altri 1,5 milioni, tutti avanzi di bilancio. Abbiamo assunto 15 medici e 45 infermieri, comprato una Tac e una Risonanza magnetica. La gara per la ristorazione? La Regione la sta facendo su base provinciale».
E’ l’«acuto» dei primi problemi di assestamento della riforma, che comunque ha lasciato in piedi 42 ospedali pubblici e 26 privati. Gli altri «fuochi» sono: la protesta, con relativa raccolta di 4mila firme, dei 13mila residenti di Cavallino Treporti spostati dall’Usl di Venezia a quella di San Donà, che diventa così l’azienda sanitaria turistica più grande d’Europa; la carenza di pediatri nell’Usl 1 Dolomitica (sono circa la metà del dovuto), alla prese pure con la cessazione della sperimentazione gestionale pubblico-privato al Codivilla di Cortina decisa dalla Regione e relativi 150 dipendenti da ricollocare; il blocco, sancito con delibera regionale e denunciato dalla Conferenza dei sindaci dell’Usl Serenissima, di nuove strutture sociosanitarie per anziani, disabili, minori, tossicodipendenti, dei centri per la salute mentale e per la riabilitazione. Ma ci sono pure le luci: il raddoppio a Castelfranco dell’Istituto oncologico veneto; la nuova cittadella sanitaria e Treviso; il rapporto diretto tra dg e utenti sui social network; rassegne teatrali al Sant’Antonio di Padova e negli ospedali trevigiani; «l’interprete» per i sordomuti nei Pronto soccorso dell’Usl Euganea; il Day Hospital oncologico in via di completamento a Portogruaro; il cantiere per l’ospedale di Montecchio e Arzignano. «Ma noi siamo preoccupati per la mobilità del personale — dice Daniele Giordano, Cgil Sanità — ancora non abbiamo garanzie dalla Regione. E nemmeno sappiamo quanti amministrativi e dirigenti medici saranno spostati dalle Usl all’Azienda Zero».
Taglio dell’Usl ad Adria e paure per l’ospedale. Difesa della sanità tardiva
di Luigi Migliorini. Ho l’impressione, talvolta, di essere una «novella Cassandra»: il 5 febbraio 2016, sempre in questa rubrica, rivolgevo un appello ai vari soggetti istituzionali aventi competenze propositive o decisorie, facendo presente che era in corso di esame un progetto di legge regionale il quale prevedeva che dal 1° gennaio 2017 l’Usl di Adria sarebbe stata cancellata. Ci sarebbe stata un’Usl per provincia, con l’aggiunta dell’Usl di Bassano (chiamata «Pedemontana») e l’Usl del Veneto Orientale. Il governatore Zaia in sede di discussione della proposta di legge ha «giustificato» le due deroghe al principio di un’Usl per provincia col fatto che l’Usl «Pedemontana» servirebbe i turisti della montagna e quella del Veneto Orientale quelli del mare. Invitavo a cercare il salvataggio dell’Usl di Adria e, mi sia consentito citare me stesso, «perché si vuol lasciare morire l’Usl di Adria che pure è, tra l’altro, di riferimento per numerosi turisti che affollano le meravigliose spiagge del Delta del Po? Dalla spiaggia di Boccasette di Porto Tolle ad Adria vi sono 45 chilometri, da quella di Barricata 52. Minore è la distanza della spiaggia di Rosolina Mare e da quella di Albarella sulle quali però, nel periodo estivo, vi sono più di 13.000 turisti». Sviluppando questi argomenti si poteva cercare di ottenere una terza deroga, conservare l’Usl 19 di Adria, sulla base del principio che tutti i turisti dovrebbero essere uguali di fronte alla sanità. La mia è stata una «Vox clamantis in deserto»: nessuno si è mosso per tentare il sacrosanto salvataggio. Il risultato? Alla fine, con legge regionale n. 19 del 25 ottobre 2016, l’Usl di Adria è stata soppressa, mentre mantenute le altre due Usl «turistiche», con sede a Bassano e a San Donà di Piave. Ieri ad Adria una pubblica manifestazione di protesta contro il prevedibile ridimensionamento (e siamo solo agli inizi!) dell’ospedale cittadino. Oniricamente mi pare di sentire l’ex Usl 19 che, come Violetta nell’ultimo atto dell’opera «Traviata» di Verdi, rivolta al corteo di protesta, esclama: «È tardi!».
Michela Nicolussi Moro e Luigi Migliorini – Il Corriere del Veneto – 5 marzo 2017