di Anna Meldolesi. L a ricetta della natura per creare un embrione prevede un uovo e uno spermatozoo, ma la scienza ha escogitato un’alternativa completamente asessuata. All’università di Cambridge sono bastati due tipi di cellule staminali, con la loro indole versatile, e un’impalcatura tridimensionale su cui farle crescere. L’ exploit viene annunciato oggi da Magdalena Zernicka-Goetz e colleghi su Science .
Si tratta dell’ultima incursione della scienza nel delicato terreno della riproduzione, ma per il momento non c’è ragione di allarmarsi. Innanzitutto non è stato creato un embrione artificiale umano, ma di topo. E poi è probabile che questa scoperta, una volta replicata con cellule umane, trovi applicazioni amiche dell’etica. Osservando gli pseudo-embrioni che crescono in vitro forse si potrà capire perché più di due gravidanze su tre si interrompono ai primi stadi dello sviluppo. Inoltre, utilizzando questi modelli artificiali, i ricercatori avranno bisogno di un minor numero di embrioni naturali da usare a scopo di ricerca. Questo approccio, insomma, risponde a un classico imperativo morale della sperimentazione con cavie animali: ricorrere a cellule, tessuti e organoidi anziché a interi organismi viventi, ogni volta che questo è possibile.
I tentativi precedenti si erano scontrati con la difficoltà di coordinare quella meravigliosa danza tra cellule che è lo sviluppo embrionale. Le cellule parlano tra loro, si guidano a vicenda nel punto giusto, si organizzano in un’architettura dinamica che è alla base della vita. Questa magia ora è riuscita anche in vitro per 6 giorni e mezzo: le staminali embrionali hanno interagito alla perfezione con le staminali del trofoblasto, che servono a costituire la placenta. Il processo, in definitiva, ha replicato le tappe naturali, anche se un embrione del genere difficilmente potrebbe diventare prima un feto e poi un bambino. È probabile che serva un terzo tipo di cellule, quelle che vanno a formare il sacco vitellino. Lino Loi dell’Università di Teramo, comunque, è convinto che il risultato raggiunto sia importante: «Dimostra che è possibile produrre embrioni bypassando del tutto l’evento fecondativo. Le possibili applicazioni sono tante, compreso il salvataggio di specie a rischio di estinzione».
Zernicka-Goetz aveva già fatto parlare di sé lo scorso maggio, battendo il record di coltivazione in vitro di un embrione umano (13 giorni). La possibilità di osservare tanto a lungo le trasformazioni embrionali fuori dal grembo materno ha affascinato il pubblico al punto che la scoperta è stata votata sul sito di Science come la più importante dell’anno.
Il Corriere della Sera – 3 marzo 2017