di Rosanna Magnano. Migliorare i livelli di consapevolezza e di informazione sulla resistenza agli antimicrobici (Amr); rafforzare le attività di sorveglianza; migliorare la prevenzione e il controllo delle infezioni, in tutti gli ambiti; ottimizzare l’uso di antimicrobici nel campo della salute umana e animale (antimicrobial stewardship); rafforzare e sostenere ricerca e innovazione.
Sono questi gli obiettivi del Piano nazionale di contrasto alla resistenza anti-micorbica, delineati da Ranieri Guerra , direttore generale Prevenzione Sanitaria del ministero della Salute nel corso dell’evento Ahead (Achieving HEalth through Anti-infective Defense), promosso da Msd Italia. «Una versione finale del Piano è prevista per la primavera di quest’anno – assicura Guerra – e successivamente si provvederà alla condivisione con le Regioni, alla sua approvazione e alla sua uniforme applicazione su tutto il territorio nazionale».
L’emergenza è globale e secondo l’Oms, se non si metteranno in atto misure di contenimento, i “superbug” (ovvero i germi che sono diventati resistenti a tutti gli antibiotici e dai quali dunque non possiamo più difenderci) saranno, nel 2050, la principale causa di morte.
«Il fenomeno della resistenza agli antimicrobici – continua Guerra – deve essere considerato dal punto di vista sia della salute umana che della salute e del benessere degli animali, irrevocabilmente e strettamente interconnesse, nonché della sicurezza degli alimenti e della salubrità dell’ambiente. La resistenza antimicrobica, pertanto, è un problema che richiede un approccio “One Health”, ovvero uno sforzo congiunto di più discipline professionali (medicina umana e veterinaria, settore agroalimentare, ambiente, ricerca e comunicazione, economia, e altre) che operano, a livello locale, nazionale e globale, con uno scopo comune».
Già ora in Europa si verificano annualmente 4 milioni di infezioni da germi antibiotico-resistenti che causano oltre 37.000 decessi e sono responsabili di un significativo assorbimento di risorse (sanitarie e non) che ammontano a circa 1,5 miliardi di euro l’anno; negli Stati Uniti sono 2 milioni i soggetti colpiti da un’infezione resistente agli antibiotici con circa 50.000 morti e una spesa che supera i 20 milioni di euro.
E l’Italia è particolarmente esposta con una resistenza agli antibiotici tra le più elevate in Europa e quasi sempre al di sopra della media Ue. Nel nostro Paese, ogni anno, dal 7% al 10% dei pazienti va incontro a un’infezione batterica multiresistente con migliaia di decessi.
Particolarmente grave è la gestione del rischio in corsia. Le infezioni correlate all’assistenza (Ica) colpiscono ogni anno circa 284.100 pazienti causando circa 4.500-7.000 decessi. Le infezioni più comuni sono polmonite (24%) e infezioni del tratto urinario (21%). I dati a livello globale sulle infezioni intra-ospedaliere rilevano un’incidenza del fenomeno sull’8-12% dei pazienti ricoverati.
Lavorare sulla prevenzione è quindi doveroso ma non è sufficiente. L’emergenza è infatti anche farmacologica e si pone il problema di come sostenere l’accesso all’innovazione nel trattamento delle malattie infettive. «Il Ministero della Salute, con il supporto di Aifa – spiega Guerra – ha già dato prova, proprio in anni recenti, dell’impegno per garantire l’accesso a farmaci innovativi ai pazienti, nei casi in cui siano disponibili. Il percorso non è certo facile, ma l’industria farmaceutica è un interlocutore fondamentale e il dialogo dev’essere aperto e continuo. Allo stesso tempo, sarebbe opportuno intervenire su alcuni aspetti legati proprio alla ricerca, per favorire la realizzazione di studi e sperimentazioni anche nel nostro Paese che, generalmente, non è molto appealing. Il tema dell’innovazione e della ricerca è particolarmente rilevante proprio se si parla di Amr, in termini sia di nuovi trattamenti che di diagnostica avanzata. Tale orientamenti trovano giusto spazio nella bozza del nuovo piano di contrasto all’antibiotico-resistenza dove saranno indicate le strategie a livello nazionale per definire modalità e ambiti di intervento».
L’accesso ai farmaci innovativi e la partnership pubblico-privato
Le rivoluzioni terapeutiche su infezioni come l’Hiv e da ultimo per l’Epatite C hanno segnato una grande svolta salvando molte vite umane nel giro di pochi anni. Ora però si pone un problema di costi e di accessibilità alle terapie più innovative. «Naturalmente, garantire l’accesso a farmaci sempre più efficaci – sottolinea Walter Ricciardi, presidente Istituto Superiore di Sanità (Iss) – possibilmente a prezzi etici, a porzioni sempre maggiori di popolazione richiede una collaborazione fattiva tra pubblico e privato. Cosa, questa, necessaria anche nel settore degli antibiotici, il cui sviluppo si rende necessario per arginare gli effetti devastanti dell’insorgenza delle multiresistenze. Insomma credo ci sia un grande spazio per una fattiva e intelligente collaborazione fra pubblico e privato, in cui ognuno degli attori possa svolgere la sua parte per mettersi al servizio della comunità».
In ogni caso contro la minaccia delle malattie infettive, è necessario agire con tempestività. «Bisogna mettere mettere in campo da subito tutte le risorse della ricerca – spiega Federico Gelli,membro della Commissione Affari sociali della Camera – e dobbiamo fare in modo che le nuove terapie arrivino ai medici e ai pazienti nel più breve tempo, proprio per impedire che gli agenti patogeni circolino e si rafforzino. Ed è essenziale tenere bene a mente il valore olistico dell’innovazione: guardando sì ai costi che comporta, ma anche ai rischi che può evitare e, soprattutto, ai benefici sanitari e sociali, e quindi anche economici, che può assicurare. Prendiamo il caso di una malattia infettiva virale come l’epatite C: pensiamo alla sua diffusione, alle sue drammatiche conseguenze e quindi ai benefici che la sua eradicazione comporterebbe sia in termini di salute che di risparmi per il sistema sanitario. Basti pensare ai costi per la cirrosi, per i tumori al fegato, o per il trapianto che costa alla collettività più di 80 mila euro. Costi sicuramente comprimibili grazie ad una adeguata prevenzione e un appropriato accesso alle terapie innovative».
Su 300mila malati di Hcv diagnosticati in Italia (i portatori cronici del virus sono un milione), secondo l’ultimo dato Aifa aggiornato a febbraio, hanno avuto accesso alle nuove terapie 68.270 pazienti a partire da dicembre 2014. Ma il Governo sembra intenzionato ad accelerare. «Ora è arrivato il momento di dare certezze a tutti i pazienti con infezione da Hcv – conclude Gelli – eliminando ogni barriera per l’accesso alle nuove terapie. Da questo punto di vista ho accolto con molto interesse l’impegno del Direttore Generale dell’Aifa Mario Melazzini a lavorare insieme alle aziende per garantire un accesso equo e sostenibile per il Sistema Sanitario sia alle terapie già disponibili che a quelle innovative, avendo ben chiaro l’obiettivo importante di salute pubblica da raggiungere: l’eradicazione della malattia».
La resistenza agli antimicrobici
In anni recenti, il fenomeno della resistenza agli antimicrobici, chiamata antibiotico-resistenza quando è riferita specificamente alla resistenza dei batteri agli antibiotici, è cresciuto fino a diventare un problema drammatico, perché la velocità alla quale vengono scoperte nuove molecole è drasticamente ridotta, mentre l’impiego di antibiotici è in costante aumento in tutti i Paesi del mondo. La Amr si verifica quando un microrganismo diventa resistente a un farmaco che in origine veniva usato per trattare le infezioni causate da quello stesso germe che può essere un batterio, un virus, un parassita o un fungo.2 In generale, i batteri si dividono in due gruppi: i Gram-positivi e i Gram-negativi e la principale differenza tra questi è lo spessore della loro parete cellulare. La Amr è diventata un problema di sanità pubblica globale per una serie di motivi, primo tra tutti il crescente, spesso inappropriato, uso degli antibiotici. Questo fenomeno comporta una considerevole riduzione delle possibilità di prevenire e trattare un’ampia gamma di infezioni microbiche della pelle, del tratto respiratorio, del sangue circolante e delle vie urinarie, in quanto i germi una volta diventati resistenti perdono la sensibilità al farmaco e si adattano al medicinale che usualmente viene impiegato per ucciderli.
Il Sole 24 Ore sanità – 28 febbraio 2017