Le informazioni che il medico è tenuto a dare al paziente prima di una terapia o di un intervento chirurgico devono essere chiare e adeguate alle conoscenze dello stesso paziente. Che, altrimenti, ha diritto al risarcimento del danno, anche se la prestazione sanitaria ha risolto la sua patologia. Lo afferma il Tribunale di Caltanissetta (giudice Gregorio Balsamo) in una sentenza dello scorso 21 novembre.
La controversia è stata promossa da una donna che lamentava danni in conseguenza di un’operazione chirurgica. L’attrice ha esposto che i suoi disturbi erano dovuti alla condotta negligente e imperita dei sanitari, a cui addebitava anche di non averle chiesto il consenso informato all’intervento e all’anestesia. Dal canto suo, l’azienda ospedaliera ha dedotto che il proprio personale era esente da responsabilità medica e, comunque, aveva fornito alla paziente una corretta e completa informazione sui rischi dell’operazione.
La sentenza accoglie solo in parte l’istanza risarcitoria. Il giudice ricorda che ha natura contrattuale di tipo professionale la responsabilità dell’ospedale per i danni provocati dal sanitario per errori nella terapia o nell’intervento chirurgico. Così come è di tipo contrattuale anche l’obbligazione del medico ospedaliero nei confronti del paziente. Di conseguenza, in un giudizio per risarcimento dei danni, spetta al medico (e alla struttura ospedaliera di cui è dipendente) dimostrare di non essere incorso in colpa o di aver dovuto fronteggiare una situazione straordinaria o di eccezionale difficoltà.
Nel caso in esame, il tribunale esclude che il danno sia dovuto a negligenza dei medici. Si tratta, infatti, di una complicanza che – come chiarito dal Ctu – si manifesta «anche in assenza di un errore tecnico nell’esecuzione dell’intervento». Quanto al consenso, il giudice afferma che l’informazione che deve precedere l’intervento «deve essere adeguata al grado culturale e alle conoscenze del paziente e deve concernere lo scopo e la natura dell’intervento, nonché le sue conseguenze e i suoi rischi». Infatti deve consentire al paziente di scegliere se «restare nelle condizioni che secondo il medico imporrebbero l’intervento», ma anche di decidere se rivolgersi a un altro sanitario. Inoltre, poiché l’informazione ha la funzione di permettere al paziente di autodeterminarsi, la responsabilità non viene meno «nemmeno nel caso in cui l’intervento abbia avuto esito fausto e integralmente risolutivo della patologia lamentata».
Il giudice rileva quindi che nel modulo firmato dall’attrice non erano specificate le «possibili conseguenze» dell’intervento, tra cui il danno permanente lamentato dalla donna. Peraltro, trattandosi di «una delle complicanze più frequenti» in quelle operazioni, la stessa «avrebbe dovuto essere chiaramente indicata». L’attrice ha dunque subìto la violazione del diritto di decidere liberamente se sottoporsi o meno all’operazione.
Nella liquidazione del danno, il tribunale (tenuto conto della natura non patrimoniale della lesione e della mancanza di parametri oggettivi di quantificazione) effettua una valutazione equitativa in base all’articolo 1226 del Codice civile. Così condanna l’azienda ospedaliera al pagamento di 25mila euro.
Antonino Porracciolo – Il Sole 24 Ore – 23 febbraio 2017