Far partire puntualmente da maggio l’anticipo pensionistico (Ape, nelle due versione volontaria e sociale) e il canale di uscita con 41 anni di contributi per i lavoratori precoci. E poi avviare la discussione della fase due del tagliando al sistema previdenziale, incentrata sulle tutele per i giovani. Con questo obiettivo governo e sindacati si rivedono martedì al ministero del Lavoro.
Riapre così il cantiere che aveva visto l’esecutivo e le parti sociali impegnati lo scorso autunno: alcune delle misure concordate sono entrate in vigore a gennaio (dall’aumento della detrazione per i pensionati al cumulo gratuito dei contributi), per altre la scadenza è fissata appunto al primo maggio. L’esecutivo deve emanare alcuni provvedimenti attuativi che dovrebbero essere pronti nel mese di marzo, in modo da dare tempo all’Inps di mettere in funzione la macchina. Da precisare restano alcuni punti. Per l’Ape volontaria ci sarà un importo minimo, che dovrebbe essere fissato a 150 euro, e un doppio tetto per prevenire il sovra-indebitamento del pensionato: l’anticipo non potrà superare una percentuale dell’80-85% della pensione netta a cui si ha diritto, mentre la rata da restituire in seguito arriverebbe al massimo al 30 per cento della stessa pensione netta, decurtata di altri prestiti e trattenute (come gli assegni divorzili). Intanto procedono i contatti con banche e assicurazioni per le convenzioni che dovranno definire il tasso di interesse e il costo della polizza assicurativa: il primo si collocherebbe appena al di sopra del 2,5 per cento, mentre il premio totale resterebbe al di sotto del 30 per cento del capitale. Il tasso una volta fissato sarà mantenuto dal pensionato per tutta la durata del prestito, ma il suo livello di ingresso verrà adeguato ogni 1-2 mesi per tener conto delle condizioni di mercato.
LE MANSIONI GRAVOSE
Andranno poi specificate meglio le mansioni gravose che danno diritto (in alternativa a disoccupazione o invalidità) sia all’Ape sociale sia all’uscita con 41 anni di contributi. Date le grandi categorie (dall’edilizia alle pulizie, dai conducenti di mezzi pesanti alle maestre d’asilo e agli infermieri che lavorano su turni) si procederà probabilmente a indicare i profili specifici attraverso i codici Ateco.
Fin qui le cose da fare presto. Poi c’è la fase 2, che naturalmente è soggetta alle incognite dell’attuale momento politico: le misure dovrebbero trovare sbocco nella prossima legge di bilancio e non è detto che il governo in carica possa prendere impegni precisi su questo. Il menu definito nel protocollo dello scorso settembre è ambizioso. Al centro c’è l’obiettivo di dare garanzie ai giovani lavoratori che – esposti a carriere discontinue – rischiano di essere poi penalizzati nelle loro pensioni contributive. Per affrontare questa situazione si pensa ad una pensione di garanzia una sorta di gradino minimo al quale si sommerebbe poi il trattamento maturato con i contributi. Idealmente il progetto va di pari passo con quello di riduzione strutturale del cuneo contributivo sul lavoro stabile, al fine di rendere quest’ultimo più conveniente.
PREVIDENZA COMPLEMENTARE
Data la potenziale onerosità di queste misure si valuta lo spartiacque generazionale da cui far partire l’applicazione dei nuovi strumenti, che sostituirebbero quelli assistenziali attuali quali assegno sociale o integrazione al minimo: le novità potrebbero scattare per i giovani coinvolti in pieno nel meccanismo contributivo o direttamente per i neoassunti. Altro dossier importante, nella stessa logica di tutela dei giovani, è quello della previdenza complementare: le idee su cui si ragiona comprendono la parificazione del trattamento fiscale tra dipendenti privati e pubblici (oggi sfavoriti), la concentrazione dei fondi e l’eventuale apertura di una nuova fase di silenzio-assenso per l’adesione.
IL Messaggero – 20 febbraio 2017