Hanno lavorato tutta la giornata, con tutto il personale a disposizione: quindici tecnici recuperati da tutte e tre le ex Usl della provincia. Ma non è bastato: troppo elevato il numero di tacchini da abbattere (45 mila), così si dovranno concludere i lavori questa mattina.
È senza precedenti, almeno nel Veronese, l’operazione veterinaria messa in piedi dall’azienda sanitaria scaligera, a seguito della scoperta della presenza del virus H5N8, quello dell’influenza aviaria, in un allevamento di tacchini a Roncanova, frazione di Gazzo Veronese. Gli esami di laboratorio hanno dato il temuto responso giovedì sera, nella giornata di venerdì gli uffici dei servizi sanitari hanno studiato il «blitz». Ieri mattina, le «tute bianche» dell’Asl si sono presentato nell’allevamento: una ditta a gestione familiare a poche centinaia di metri dal confine con il Mantovano. Sebbene solo pochi esemplari, e in un solo capannone (la ditta ne ha quattro), abbiano contratto il virus. «Non c’è altra alternativa – hanno confermato ieri i tecnici zoosanitari intervenuti. La malattia si diffonde molto velocemente e il rischio è trovarsi costretti ad operare altri abbattimenti in altri allevamenti». Un copione che, quest’anno, si è già visto in Veneto. L’ultimo della serie è stato a fine gennaio, a Giare, località del comune di Mira, nel Veneziano. Abbattuti 20.500 esemplari, sempre di tacchino. Pochi giorni prima era toccato ad un altro allevamento a Piove di Sacco, non molto lontano, in provincia di Padova. E il virus dell’aviaria, proprio in questi giorni, sembra bussare alle porte del Veronese, con un secondo caso a Monzambano, in seguito al quale è stata predisposta una cintura sanitaria in gran parte della zona ovest della provincia. La stessa misura è stata applicata nella Bassa, dove è stata istituita una «zona di protezione» nel raggio di tre chilometri dal contagio. A non pochi allevamenti, soprattutto nei comuni di Gazzo, Nogara, Erbè e Sorgà, verrà vietato il trasporto e la compravendita di pollame, uova incluse, per qualche giorno e le aziende dovranno tenere un registro dei visitatori. Ancora più ampia, pari a un raggio di dieci chilometri, la «zona di sorveglianza», che prevede anch’essa restrizioni alla movimentazione dei capi e l’adozione di alcune precauzioni sanitarie. Per abbattere una simile quantità di tacchini, i tecnici hanno adoperato, come previsto dalle procedure, l’anidride carbonica, che è stata pompata nei capannoni rendendoli, in pratica, delle grandi camere a gas. Complicato anche il trasporto delle carcasse: per i quali sono stati necessari diversi camion, anch’essi attrezzati per contenere materiale biologicamente pericoloso.
Benché il virus in questione non sia mai stato rilevato nell’essere umano, non è escluso che possa servirsi dell’uomo come «vettore»: anche i tecnici, quindi, hanno dovuto prendere diverse precauzioni, incluso l’utilizzo di una doccia disinfettante installata per l’occasione. Quanto ai proprietari, impegnati anche loro nelle operazioni, avranno diritto a un risarcimento. «Nonostante i numeri – assicura il sindaco di Gazzo Andrea Vecchini – il danno economico per l’allevatore è contenuto. In queste situazioni dispiace sempre, ma le normative sono chiare al riguarda. E vista la concentrazione di ditte di pollame nella nostra area è meglio correre ai ripari». Un abbattimento del genere non si vedeva, nel Veronese, dal 2009, «annus horribilis» dell’aviaria. L’ultimo caso che aveva fatto discutere risale al 2015, quando ad Oppeano si dovettero abbattere alcune oche in una fattoria didattica. Allora insorsero anche gli animalisti.
Davide Orsato – Il Corriere del Veneto – 19 febbraio 2017