Letti da un punto di vista ambientalista e animalista questi dati possono fare paura, ma restando nel campo neutro dell’opportunità e delle esigenze, con oltre ottomila allevamenti e più di 12 milioni di capi presenti Brescia è la zona non solo d’Italia ma d’Europa con la più alta concentrazione zootecnica, e quasi la metà degli animali è collocata nella Bassa, che ne alleva quasi 5 milioni e mezzo dando vita a una gigantesca filiera agroalimentare.
Eppure, nonostante i numeri la riorganizzazione dei servizi veterinari territoriali pensata a livello lombardo penalizza proprio questa zona. Il motivo se lo chiedono, indignati e sorpresi, tutti i sindaci della Bassa, affiancati dalle organizzazioni sindacali di categoria Confagricoltura e Coldiretti e dal consigliere regionale Michele Busi che, in una alleanza bipartisan con Mauro Parolini, ne sostiene le istanze.
Nel mirino degli addetti ai lavori c’è il «Poas», il Piano di organizzazione aziendale strategico, da discutere in Regione il 22 febbraio e approvare il primo marzo: già a ottobre aveva ridotto a 3 i distretti veterinari bresciani eliminando quello di Leno, reintrodotto dopo proteste, ma solo a livello sperimentale e per 5 anni. «Sperimentale è una espressione ridicola, dato che Leno ospita dal dopoguerra la più importante condotta veterinaria della Bassa bresciana – commentano i sindaci -. Come si può chiamare sperimentale un servizio attivo da sempre, se non per nascondere un declassamento?». In effetti le strutture di erogazione dei servizi e dei controlli lenesi si riducono alla «produzione primaria», al posto dell’articolazione su tre aree prevista per i distretti: sanità animale, igiene alimentare, igiene zootecnica.
«DECIDERE riduzioni proprio a Leno, caso unico in tutta la Lombardia, con tutto il suo carico di animali, allevamenti e impianti, risulta ancor più incomprensibile alla luce dei recenti fatti di cronaca relativi proprio all’igiene degli alimenti e al benessere animale», dicono ancora i primi cittadini riferendosi all’orrore di Italcarni. Tanto più che già nel 2008 era stato «abrogato proditoriamente» il distretto di Orzinuovi di cui si chiede il ripristino (i locali già ci sono), anche alla luce di quanto previsto dalla legge regionale che parametra l’istituzione dei distretti alla consistenza delle strutture produttive di competenza veterinaria.
I sindaci inoltre non sono stati coinvolti, come impone la legge, in merito a un progetto «illegittimo e incoerente con quanto il direttore dell’Ats Scarcella aveva chiesto tre anni fa». Per questo sono pronti a tutte le azioni di protesta necessarie.
Brescia Oggi – 19 febbraio 2017