di Dario Di Vico. A desso per discutere dei vizi e delle virtù degli stage abbiamo (finalmente) anche i dati aggiornati al 14 febbraio 2017 ed elaborati ufficialmente dal ministero del Lavoro. Ebbene il numero totale dei tirocini aperti in Italia supera le 143 mila unità con una progressione che ha dello spettacolare. Nel giugno ’15 eravamo fermi, infatti, a 114 mila ma se torniamo qualche addietro (al 2012) gli stage arrivavano appena a quota 63 mila. Nel giro di meno di cinque anni si sono incrementati del 116 per cento.
Un vero boom. Se poi osserviamo la distribuzione territoriale odierna in testa di gran lunga è la Lombardia (32 mila su 143 mila) seguita dal Lazio (18.525) e dall’Emilia-Romagna (14.276). Il Sud tutto assieme supera di poco i 31 mila. Dal punto vista dei settori che utilizzano di più gli stage i servizi fanno la parte del leone (108.299 ovvero circa il 70%) contro l’industria rimasta poco sopra il 20 per cento.
Ancora più interessante (e preoccupante) è il dato che fotografa l’età: il segmento più folto è — sorprendentemente — quello tra i 25-34 che supera il 44%. Gli under 24, che dovrebbero essere la maggioranza, invece seguono con il 41,2%. I giovani adulti tra i 35 e 44 arrivano al 7,4% mentre una fetta significativa di stagisti ha più di 45 anni (sono il 14,4%!). In 212 casi i dati segnalano addirittura degli ultra 65enni, dei seguaci del modello De Niro, protagonista del film Lo stagista inaspettato .
Sostituto dei veri contratti
Non bisogna essere dei raffinati analisti per capire come da questi numeri venga fuori la fotografia di uno strumento gravemente malato. Ne è cosciente anche Maurizio Del Conte, il presidente dell’Anpal (l’agenzia nazionale del lavoro), secondo cui «la significativa crescita di questi ultimi anni non si giustifica, evidentemente lo stage che doveva essere il primo contatto con il mondo del lavoro e momento di formazione è invece diventato altro da sé, ha assunto la funzione sostitutiva delle vere forme contrattuali». Lo testimonia il fatto che la Lombardia da sola attrae stage di più dell’intero Sud dimostrando così che non è uno strumento di supporto alle regioni con maggiori difficoltà di inserimento dei giovani. «La figura tipo dello stagista sembra essere quella del disoccupato che per trovare un lavoro passa dal tirocinio». Per Del Conte anche l’elevato numero di over 45 presenti nelle statistiche «segnala un’anomalia che non può essere spiegata solo dai casi virtuosi di ricollocamento al lavoro». Siamo in presenza quindi di un diffuso regime di abuso che va assolutamente contrastato e che può essere stato generato anche «dalla stretta sull’ampia tipologia di forme contrattuali precedenti».
Il presidente dell’Anpal invita nonostante tutto a non demonizzare lo stage: «In un sistema che finora ha avuto poche esperienze di alternanza studio/lavoro è stato l’anello di congiunzione con la scuola e ha permesso a molti di fare la prima uscita». Più che emanare nuove norme rigide («le vigenti già lo sono, in teoria») bisogna rafforzare i controlli per evitare «il carosello degli stage», ovvero giovani costretti a sommare anche più di 5 tirocini in realtà aziendali diverse tra loro. «La vera cura penso però che venga proprio dal diffondersi dell’alternanza studio/lavoro che può contribuire ad asciugare la platea degli stage inutili e riqualificare lo strumento verso gli originari obiettivi formativi».
Meglio la formula dell’apprendistato
Francesco Seghezzi, ricercatore del centro studi Adapt, ricorda «come i finanziamenti di Garanzia Giovani abbiano portato a incrementare i tirocini molto sopra la media europea e le aziende hanno finito per approfittarne alla grande».
I casi limite tipo gli stage da operaio delle costruzioni (muratore) sanno di grottesco, e portano a dire «che nei cantieri, ma non solo, è molto meglio l’apprendistato perché fornisce una qualifica professionale». Ai tempi del ministro Elsa Fornero il governo Monti aveva lanciato un’offensiva di persuasione pro apprendistato che però è miseramente fallita. «Un ulteriore errore è stata l’introduzione dell’equo compenso perché è diventato l’alibi per erogare ai giovani un sottosalario e dimenticare gli obblighi formativi». E comunque quel 44% di tirocinanti nel segmento 25-34 è forse il dato più preoccupante. Segnala l’esistenza di una gabbia.
La variabile delle norme regionali
Critico è anche il giudizio del sindacato. Per Roberto Benaglia, dirigente Cisl che da anni si occupa di mercato del lavoro, la malattia degli stage merita ancora più attenzione di quella riservata di recente all’aumento dell’utilizzo dei voucher. «Garanzia Giovani ha speso milionate per i tirocini, ha contribuito ad alzare i numeri ma non ha fatto la differenza nella coerenza con i progetti formativi». Esiste così persino la figura della cassiera stagista a 400 euro oppure il diplomato ragioniere che finisce a tirocinio in un bar.
«Mentre per ciò che riguarda i numeri degli over 50 bisogna tenere presente che tra loro ci sono casi di persone disabili, esperienze di recupero sociale e di riorientamento professionale verso nuovi mestieri». Come uscire dal tunnel in cui ci siamo ficcati? «Non è facile — risponde Benaglia — perché essendo le norme di competenza regionale non basta una legge nazionale, bisogna comunque concordarla con gli enti locali».
Corriere della Sera – 19 febbraio 2017