Altro che skipass. Almeno se siete di quelli che guardano con incredulo divertimento, d’estate, le gare di sci su pendii erbosi sotto un sole cocente. Il riscaldamento globale, infatti, avanza e sulle piste alpine rischiate, nei prossimi anni, di trovare più fango che neve. Il rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) sul cambiamento climatico, uscito in questi giorni, disegna un futuro inquietante.
E, insieme alle regioni artiche, l’area di crisi più allarmante, in Europa, è l’arco alpino, in particolare il versante meridionale, cioè quello italiano, dove le precipitazioni si faranno più rade. Saranno concentrate in inverno, piuttosto che in estate, ma il problema è il tipo di precipitazioni: «in virtù delle temperature più alte – recita il rapporto – queste precipitazioni invernali si manifesteranno più frequentemente come pioggia».
È l’inevitabile risultato di un termometro inesorabilmente in salita: fra la fine dell’800 e quella del ‘900, nell’emisfero settentrionale la temperatura media annua è cresciuta di poco più di un grado, ma sulle Alpi di quasi il doppio: due gradi. L’impatto immediato, ovviamente, è stato sui ghiacciai: nell’ultimo secolo il loro volume si è dimezzato e gli studi più recenti indicano che, alla fine di questo secolo, si saranno ridotti fra l’84 e il 90 per cento. In cima al Monte Bianco, i nostri nipoti cammineranno sui ghiaioni. Il rapporto, del resto, disegna un clima alpino che nessuno di noi potrebbe riconoscere: lunghe siccità, interrotte da piogge torrenziali e tempeste, e autentiche ondate di calore, con l’aumento del rischio slavine.
L’impatto sull’economia delle Alpi – l’agricoltura e, soprattutto, il turismo si prospetta devastante. Ma la prima linea, quella esposta più direttamente alle conseguenze dell’effetto serra, è più a sud, lungo le coste del Mediterraneo, dove il rapporto dell’Eea si aspetta «gli impatti potenziali più severi». Rispetto ai Paesi affacciati sugli oceani, le regioni mediterranee hanno meno da temere dal mare, anche se un innalzamento di dieci centimetri, nei prossimi trent’anni, rispetto alla seconda metà del secolo scorso, non è trascurabile. Ma, da qui al 2050, le temperature, nelle regioni attorno al mare (la Francia e la Spagna meridionale, tutta l’Italia) cresceranno di un grado e mezzo in inverno e due gradi in estate, mentre le piogge si ridurranno, nella media dell’anno, del 5 per cento. La siccità rischia, dunque, di diventare endemica, soprattutto in Italia, dice il rapporto, dove già oggi si utilizza più acqua di quella che si può ricostituire. Il 5 per cento è una media: in Sicilia, le piogge diminuiranno del 10-20 per cento nell’arco dell’anno e del 20-30 per cento in estate.
Olivo, vite, grano duro emigreranno più a nord e a nord est. Ma anche la vita quotidiana rischia di diventare più penosa. Le ondate di calore (almeno cinque giorni in cui le temperature superano di cinque gradi quelle normali nel periodo) diventeranno molto più frequenti. Quelle, spesso letali, che abbiamo vissuto nel 2003 e nel 2010 smetteranno di essere eccezionali: dopo il 2050 potranno verificarsi anche ogni due anni. A Roma, anche ogni 4-5 anni, ma già prima della metà del secolo.
Repubblica – 8 febbraio 2017